L’opinione – Crepe in casa PdL
(di Carlo di Stanislao) – “Rifletti bene su questa decisione di dar vita a gruppi autonomi perché se lo farai l’inevitabile conseguenza dovrebbe essere quella di dover lasciare la presidenza della Camera”. Sarebbe stato questo, secondo alcuni, l’avvertimento di Berlusconi di fronte alla posizione di Fini, che in molti hanno definito un ultimatum. Il leader di Montecitorio, infatti, avrebbe rimproverato al capo del governo e del Pdl di andare a traino della Lega, chiedendogli esplicitamente di scegliere in modo chiaro, se continuare a costruire un partito con lui o preferirgli il rapporto con Umberto Bossi. Per Fini occorre che il leader del Pdl operi, con chiara immediatezza, scelte organizzative ed abbia piena coscienza di essere a capo di un grande partito nazionale, senza dover temere la crescita e le pressioni della Lega. “In Italia è scoppiata la guerra civile tra Berlusconi e i suoi alleati”, titola oggi il “Times” che, riprendendo i commenti delle opposizioni, aggiunge che si è avviato “l’inizio della fine per Berlusconi”. Ma io sarei molto prudente nel decretare questa fine e l’interruzione totale del dialogo fra i due. La crepa che si è aperta sulle pareti del Pdl è certo profonda e grave, diremmo oggi “strutturale”, ma non insanabile, anche perché, come nota Stefano Folli sul Sole 24 Ore, la scissione avrebbe l’effetto paradossale di favorire proprio Umberto Bossi ed il suo partito. L’azzardo dell’ultimatum perentorio e la minaccia di gruppi, può costare caro a Fini, ma Berlusconi avrebbe poco da sorridere e per questo si è preso una pausa di 48 ore. I vari “falchi” del Pdl che cento volte hanno invitato il premier a saldare i conti con l’indocile presidente di Montecitorio, dovranno spiegare dove porta la strategia del pugilato permanente all’interno del partito di maggioranza relativa. La risposta è palese: porta solo al collasso della legislatura, dal momento che le fatidiche riforme, già difficili in tempi normali, diventeranno impossibili dopo la scissione. E una legislatura fallita, a tre anni dalla sua conclusione, rende pericolosamente reale l’ipotesi di elezioni anticipate. E, sebbene, forse, a Berlusconi piace più parlarne che affrontare davvero le riforme, lo spauracchio di una nuova tornata elettorale, con la possibilità di un rosicchiamento ulteriore di voti da parte della Lega, un poco lo inquieta. Tutti sappiamo che l’attuale situazione è figlia di una vecchia e progressiva tensione, anche personale, fra Fini e Berlusconi, ma è anche il segno e la prova che il Pdl è nato in modo superficiale e approssimativo, con colle e pozzolane di bassa lega a tenerne assieme anime molto diverse. E queste anime, ora, con il sisma-Lega che si muove sottoterra, agitando le acque, entrano in conflitto di risonanza, come corpi di un edificio mai davvero reso solido ed unitario. Fini propone un’evoluzione politico-istituzionale in chiave europea, Berlusconi pensa a se stesso e alla sua leadership. Il Presidente del Senato Schifani, in modo irrituale, ha detto: o la maggioranza è compatta o si va alle elezioni. Il governo rischia effettivamente di cadere o le parole di Schifani sono interpretabili come un richiamo rivolto al Presidente della Camera per rientrare nei ranghi della maggioranza? Nessuno può dirlo per ora e dovremo aspettare per vedere. Di certo il processo breve, con il rischio della prescrizione di molti processi di grande rilevanza, le riforme istituzionali condivise, il caso Casentino, hanno aperto una frattura tra Fini e Berlusconi, tra due modi molto diversi di vedere la politica.
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