Dividendi e crediti imposta, ha ragione A.E.


L’Aquila – Dividendi e crediti di imposta inesistenti per oltre 100 milioni di euro, i giudici tributari danno ragione all’Agenzia delle Entrate. Le decisioni emesse di recente a seguito di ricorsi avverso provvedimenti di diniego a istanze di rimborso, ovvero di recupero di rimborsi già concessi, consolidano la giurisprudenza tributaria favorevole all’Agenzia delle Entrate nelle ormai numerose vertenze che hanno avuto oggetto tematiche di particolare rilievo, anche pecuniario.
Le indagini del Centro Operativo di Pescara hanno evidenziato due diverse fattispecie, riconducibili a comportamenti fiscalmente elusivi messi in atto da primarie banche d’affari statunitensi e giapponesi operanti a livello mondiale e da un importante gruppo industriale internazionale che, nel primo caso, hanno acquisito, la disponibilità di una rilevante massa di titoli azionari emessi da società italiane mediante contratti di stock loan (prestito titoli). Le indagini avviate dalla Guardia di Finanza di Roma e dalla Procura della Repubblica di Pescara hanno evidenziato che l’attività elusiva ha poi riguardato la successiva cessione di tali titoli ad una controllata residente nel Regno Unito prima del pagamento del dividendo, e dopo il relativo incasso, anche la restituzione dei titoli, alla scadenza del contratto di stock loan, all’originario detentore, ponendo in essere, in tal modo, un vero e proprio dividend washing. Tale comportamento avrebbe permesso di ottenere, oltre al pagamento del dividendo, anche il rimborso del credito d’imposta da parte dell’Amministrazione finanziaria italiana, con un notevole vantaggio per i soggetti coinvolti.
La seconda vicenda, riconducibile ad un importante gruppo industriale americano, prende il via da un’indagine avviata autonomamente dal Centro Operativo di Pescara che ha rilevato la fittizia costituzione nel Regno Unito di una società-sponda o conduit companie, di fatto non operativa, idonea a figurare come beneficiaria dei dividendi distribuiti da una società italiana, quando, al contrario, la sede di direzione effettiva era negli Stati Uniti. Obiettivo dell’operazione era l’utilizzo della conduit companie inglese come veicolo per ottenere i rimborsi previsti dalla convenzione stipulata tra Italia e UK per evitare le doppie imposizioni. Nel respingere i ricorsi di parte, i giudici di prime cure hanno rilevato la non spettanza del credito d’imposta da convenzione, essendo la sua fruizione alternativa a quella prevista dalla Direttiva Madre-Figlia n. 435/90 CEE.


15 Aprile 2010

Categoria : Cronaca
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