Terremoto e “spettacolo mediatico”


L’Aquila – “Come raccontare l’indicibile, ciò che non fa notizia ma è notizia?”. È stato questo “il primo pensiero del SIR, Servizio Informazione Religiosa, nel venire a L’Aquila il giorno stesso del terremoto: come ascoltare e raccontare una sofferenza e una speranza che sono fatte di parole, ma anche di silenzio?”. È quanto ha affermato Paolo Bustaffa, direttore del SIR, intervenendo oggi a L’Aquila alla tavola rotonda “Le notizie e le scosse. I media cattolici, il terremoto, la gente”, in occasione del primo anniversario del terremoto. L’incontro è stato promosso dal quindicinale dell’arcidiocesi nato dopo il sisma (“Vola”) e dall’Ufficio per le comunicazioni sociali. “Ascoltare e raccontare questo silenzio”, ha proseguito Bustaffa, “è impresa per la quale certamente valgono le regole tecniche del mestiere, ma non meno valgono la sensibilità, l’inquietudine, la rinuncia al protagonismo”. Un silenzio che è “comunicazione altra e non assenza di messaggi”, “fatto di volti – ha precisato – che chiedono una lettura diversa da quella destinata allo spettacolo mediatico non solo nel momento dello strazio, ma anche nel tempo faticoso della ricostruzione”. “È l’umiltà, allora, a caratterizzare un’informazione sul terremoto” che non sia “debole o rinunciataria”, ma “consapevole della propria responsabilità di fronte al mistero del dolore”.
Le scosse e le notizie esprimono, secondo il direttore del SIR, “la preoccupazione, ma anche la fiducia per un’informazione che, muovendosi nella tragedia di un terremoto, è chiamata a ritrovare se stessa e, abbandonati gli effetti speciali e gli interessi di parte, è sollecitata a ridisegnarsi come servizio alla verità e al bene comune”. Un’informazione chiamata a seguire il “dovere morale” di “mettere in pagina, in audio e in video quei principi etici che rendono credibile e nobile una professione”. S’inserisce in questo contesto pure una “prospettiva educativa e formativa” per il futuro del giornalismo, “mestiere minacciato più dalla debolezza etica che dalla potenza tecnologica”. “I grandi temi della sofferenza, della morte, della vita – ha sottolineato Bustaffa – stanno da tempo mettendo alla prova la qualità dell’informazione e della comunicazione”. Ecco, quindi, che “il terremoto in Abruzzo ci ha parlato a lungo e ancora ci parlerà del dolore e della speranza”, continuando a essere “una scuola, anzi un laboratorio professionale su un territorio che ha conosciuto l’abbraccio del Paese e del mondo”.
“Il primo terremoto dell’era digitale”. E’ così che mons. Domenico Pompili, responsabile dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei, ha definito il sisma aquilano a “le notizie e le scosse”, la tavola rotonda sui media cattolici e il terremoto in corso a L’Aquila. “Per la prima volta – ha continuato mons. Pompili – le prime notizie del sisma non ci sono arrivate dalla televisione o dai giornali, ma dai nuovi linguaggi di internet e dei social network. Strumenti che in questi mesi sono stati utilizzati dalle persone per ritrovarsi”. Un contesto in cui, secondo mons. Pompili, “la rete ha avuto un importante ruolo per cercare di ricomporre un tessuto sfilacciato”. “Da questo punto di vista – ha concluso – apprezzo lo sforzo della chiesa locale di puntare sui nuovi media con un rinnovato sito web con cui cercare di favorire il contatto tra le persone”. Un tentativo di ricostruire le comunità a cui contribuisce anche “Vola”, il quindicinale dell’arcidiocesi aquilana, nato grazie al sostegno del Sir e della Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici (FISC) di cui fa parte. “Quello di unificare il tessuto sociale – ha spiegato il presidente della FISC, don Giorgio Zucchelli – è proprio il ruolo dei settimanali diocesani la cui vocazione è quella di dar voce al territorio, favorendo un legame tra la Chiesa e la società civile”.
“A volte sapere del danno, raccontare i problemi, non basta, quello che serve è capire il bene che si può fare e che si sta facendo”. A raccontarlo è Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, al convegno “Le notizie e le scosse” in corso a L’Aquila. “Il bene – ha continuato Tarquinio – non fa rumore, ma se non riusciamo a guardarlo non possiamo capire quello che realmente sta succedendo”. Il direttore di Avvenire ha elencato alcuni numeri del loro impegno nel dopo terremoto: 30 prima pagine e 660 pagine interne. “Un modo – ha continuato il direttore – per richiamare l’attenzione su una realtà che non è chiusa ma dove molto è da fare. Ma questi numeri non vogliono sostituirsi ai volti e alle storie di dolore e speranza che abbiamo provato a raccontare”. Dal confronto tra i direttori è emersa, però, la necessità di salvaguardare il limite tra dovere di informare e rispetto delle persone. “I media – ha raccontato Giustino Parisse, giornalista di Onna – hanno affrontato quanto successo come se lavorassero su uno spettacolo di cui mi sono, spesso, sentito un protagonista. Il terremoto ha cambiato il mio modo di fare questo mestiere, ma ho deciso di continuare a raccontare quello che vedevo. Oggi viviamo in una città dispersa senza luoghi di riferimento e identità. Questo non significa criticare quanto fatto in questi mesi ma semplicemente fare il nostro lavoro”.
“Se è vero che i nuovi canali digitali sono stati i primi a dare la notizie della tragedia, è, altrettanto vero, che solo quando la televisione ne ha mostrato le immagini, l’opinione pubblica ha capito la portata di quanto era successo”. E’ questa la riflessione di Stefano de Martis, direttore di TV 2000 e Circuito Inblu, che, intervenendo al convegno “le notizie e le scosse” ha sottolineato come “ci siano delle immagini che sono diventate il simbolo di questa tragedia. Penso alle macerie della Casa dello Studente, alla cupola delle Anime Sante o il palazzo del governo”. Parlando dell’atteggiamento che un giornalista deve tenere in un contesto di una tragedia, il direttore di TV 2000 ha ricordato come “ci siano delle situazioni in cui il giornalista è chiamato a fare un passo indietro, sapendo rinunciare alla logica dello scoop a tutti i costi”. Un ruolo che, secondo il presidente dell’ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, è “stato egemonizzante nei confronti degli altri media, raccontando una realtà, in alcuni casi, diversa da quella reale”. Concludendo il convegno il direttore di “Vola”, don Claudio Tracanna, ha ricordato l’impegno della stampa cattolica a “raccontare la realtà con occhi buoni, facendo emergere i problemi, ma non dimenticando le storie di speranza che possono nascere anche in una tragedia come quella del terremoto”.


15 Aprile 2010

Categoria : Cultura
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