Addio a Schroeter, autore barocco


(di Carlo Di Stanislao) – Werner Schroeter, scomparso l’altra notte a 65 anni appena compiuti, era da tempo molto malato, ma aveva accettato l’invito del direttore Marco Müller e partecipato, nel 2008, alla Mostra del Cinema di Venezia. Smagrito, molto provato, conservava però lo sguardo vivissimo di sempre e il piglio eccentrico da artista totale: regista di cinema e d’opera, direttore della fotografia, montatore, attore. Dall’esordio del ‘72 con Maria Malibran, protagonista la sua attrice feticcio, Magdalena Montezuma, a Malina, tratto dal romanzo di Ingeborg Bachmann e affidato al talento straordinario di Isabelle Huppert, a Maria Callas, un altro dei suoi grandi amori, cui Schroeter aveva dedicato nel ‘68 un cortometraggio, la passione per il melodramma, per le messe in scene barocche, per l’estremo e l’eccessivo non ha mai abbandonato. Così come non l’ha mai lasciato l’amore per l’Italia, in particolare per Napoli e Palermo, cui ha dedicato due splendidi film: Palermo or Wolfsburg e Nel Regno di Napoli, interpretati dall’attrice Ida Di Benedetto, con la quale coltivava l’idea, che non è riuscito a realizzare, di una pellicola dal romanzo di Michele Prisco, Gli altri. Per Fassbinder era stato attore, il film si chiamava Attenzione alla puttana santa, una storia di cinema nel cinema con set a Sorrento e poi grande amico ed animatore di quella straordinaria stagione che è stata il Nuovo Cinema Tedesco. Ai premi e alle partecipazioni ai Festival del mondo alternava le regie d’opera: l’ultima è stata Tosca all’Opera Bastille di Parigi. Il suo ultimo film, presentato proprio a Venezia, nel 2008, è stato Nuit de Chienz, basato sul romanzo del ‘43 di Juan Carlos Onetti e dedicato al racconto del caos provocato dalla guerra. Il suo è stato un cinema lirico ed un grande cinema, che ha ricevuto molti, dovuti riconoscimenti: l’Orso D’Argento a Berlino nel 1980, il Pardo d’Onore a Locarno nel 1996 e il Leono d’oro alla carriera a Venezia, due anni fa. Per me il suo film più bello è Malina, del ’91, con Isabelle Huppert, tratto da un romanzo autobiografico dell’austriaca Ingeborg Bachmann del 1971, storia di una scrittrice che combatte con la propria frenetica scrittura, che riempie fittizie lettere mai inviate, tra terribili incubi popolati dalla figura incestuosa del padre, in un continuo accendere e spegnere di sigarette. Nel film la Huppert è magnifica, resa da Schroeder espressione infinitamente mutevole, modo perfetto d’esprimere l’inquietudine irrefrenabile, intensità nervosa sempre al limite dell’esplosione, che parla, grida ride, piange, soffre e si muove con una disinvoltura dalla stravagante tragicità, che sfocia nel sublime e nel grottesco. Scroeder ci lascia una straordinaria filmografia, in cui, con piglio d’autore, ci ha parlato di emarginati, eccentrici, omosessuali e stranieri, inseriti in un ambiente eternamente respingente ed ostile.
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14 Aprile 2010

Categoria : Storia & Cultura
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