Libertà e benessere: l’Italia al futuro


Pescara- (di Luigi Di Giosaffatte, Direttore Confindustria Pescara) – Mi verrebbe da dire: non sciupiamo un’altra occasione. Nella due giorni di Parma alcuni punti di comune intento sono stati fissati. L’Italia che parla al futuro riparte da libertà e benessere.
In un mondo che subisce un processo di accelerazione del perimetro dei mercati come mai prima avvenuto, il nostro Paese non può presentarsi con strumenti ancora troppo vecchi per dare risposte ai nuovi problemi soprattutto non può presentarsi con una “politica allo stato gassoso”, al contrario può e deve subire un processo si “solidificazione” che sappia progettare e decidere; progettare con la piena cognizione dello stato delle cose e dei problemi da affrontare e decidere con la consapevolezza che le motivazioni sottese alle “cose realizzate” siano sempre e comunque provate dai fatti e dai dati oggettivi.
La biennale di Confindustria ci ha riproposto alcuni dati a dimostrazione di quello che definirei “velocità e accelerazione dei mercati”: in India ogni giorno si costruiscono 20 Km. di strada; l’allargamento e lo spostamento dei consumi su larga scala verso alcune aeree ad “economia sprigionata” come quella dell’Area
“CINDIA” – Cina e India per l’appunto con la conseguente esigenza di essere presenti proprio su quei mercati; una produzione di ricchezza in termini di PIL che è stratosferico rispetto ai tassi di crescita dei Paesi dell’Area Euro o rispetto alle grandi economie di America e Giappone; insomma un ingresso al mercato globale di almeno tre miliardi di individui che spingono i consumi spostando l’asse geografico nel Continente Asiatico.
Di fronte a questo scenario come si presenta il Sistema Italia? Sicuramente appesantito da una Pubblica Amministrazione che non corre con gli stessi tempi dei cittadini e delle Imprese;
certamente con un sistema fiscale inadeguato e vecchio di almeno 35 anni; con un indebitamento pubblico che è tra i più alti del mondo e con una spesa corrente della P.A. che non accenna a diminuire; con il permanere di molti privilegi su una piccola parte della popolazione; con i costi della Politica ancora troppo alti e con i pochi esempi di virtuosità nella gestione rigorosa della “cosa pubblica”.
Naturalmente la foto che è venuta fuori dalla due giorni di Parma è condivisa da tutti gli interlocutori politici senza distinzione di schieramento. Il Sistema Italia che abbiamo viene da gestioni pregresse bipartisan ed a nulla serve oggi affrettarci a riconoscere le responsabilità di una o dell’altra parte politica, al contrario
occorre, senza indugio, essere pronti in poco tempo a definire, a tutti i livelli, quali programmi strategici possono e devono essere condivisi per il bene dell’Italia e degli italiani. Programmi e progetti da una parte e calendario dall’altra: è quello che il Presidente Marcegaglia chiede a nome di tutte le imprese aderenti
a Confindustria. Il vero rischio è quello di preparare una ricetta potenzialmente utile e risolutiva ma di avviare la cura troppo tardi per far sopravvivere l’ammalato. Programma e tempi con azioni a breve, a medio e a lungo termine e verifica dei risultati alle scadenze previste. Questa sarà la vera politica del fare.
Semplificazione Amministrativa, Riforma Fiscale, Riforme Istituzionali, Ricerca e Innovazione, Internazionalizzazione devono essere necessariamente e strategicamente condivise in un Piano ma occorre, però, una classe dirigente pronta al confronto ma altrettanto pronta a decidere ed a porre ogni atto
consequenziale alle decisioni in piena ed assoluta coerenza. Lo studio presentato da Confindustria a Parma punta ad esaminare tre distinte fasi dell’andamento delle variabili economiche nella storia dell’Italia: dall’Unità al 1950, quando gli italiani si sono affrancati dalla miseria; dal 1950 al 2000, quando il PIL per abitante è aumentato di 5 volte e mezzo; dal 2000 in poi, quando è iniziata una inesorabile discesa del PIL con la perdita di produttività e competitività del sistema imprenditoriale italiano. In questa foto di storia economica del nostro Paese si ripropone un tema storico: è necessario individuare nuovi indicatori di benessere delle nazioni che integrano il concetto di PIL. Se lo chiede l’OCSE, o Paesi come la Francia (Commissione Stiglitz) che hanno avviato ricerche in tal senso e senza voler scomodare troppo la storia se lo chiedeva Robert Kennedy già nel 1968 quando ebbe ad affermare che: “Non possiamo misurare la spinta nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del prodotto interno lordo”.
Come sempre, occorre evitare che il problema della rivisitazione storica degli indici di valutazione della ricchezza e del benessere di un Paese sia strumentale ad esigenze poco chiare, forse
deliberatamente richiamate per distogliere l’attenzione dai veri problemi di competitività dei sistemi nazionali.
La metrica monetaria adottata per i Conti Nazionali ed il calcolo del Prodotto Interno Lordo restano strumenti di misurazione con i quali ogni Paese moderno deve confrontarsi e senza i quali i raffronti oggettivi tra sistemi nazionali rischierebbero di avere perimetri di valutazione troppo evanescenti e poco paragonabili ad
altre economie.
Sarà inevitabile integrare nuovi parametri oggettivi di misurazione del benessere di un popolo e, quindi, delle persone che vivono nel territorio di riferimento, ma fin tanto che tali standard diventino testati ed internazionalmente riconosciuti sarà utile continuare la misurazione del PIL, Conti Nazionali e Bilancia Commerciale. Per concludere l’augurio che mi sento di fare al sistema economico-produttivo italiano è quello di poter assistere, tutti insieme, ad un vero cambiamento della politica così come delle Parti Sociali ed Imprenditoriali, del sistema bancario così come della Pubblica Amministrazione verso una univoca azione di comune responsabilità del “fare” e di esempio e coerenza verso tutti i cittadini.


13 Aprile 2010

Categoria : Economia
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