Cospa Abruzzo e “mala politica”
Ofena – Da Dino Rossi, Cospa Abruzzo: “Traggo spunto dalla recente pubblicazione di uno studio scientifico condotto sul camoscio d’Abruzzo (rupicapra pyrenaica ornata) dalle Università di Padova e di Siena per cercare di fare il punto su quanto effettivamente è stato fatto fino ad oggi nelle Aree Protette presenti in Abruzzo per l’incremento della specie, al di là di ciò che è stato sbandierato all’unisono ed unilateralmente dai soliti ormai noti Sacerdoti dell’ Ambiente i quali si sono, illegittimamente, impadroniti praticamente di tutte le montagne abruzzesi per intascare lauti guadagni e prebende varie, causando gravi disastri ambientali e faunistici, alcuni dei quali purtroppo irreparabili. Prendo il via dai proclami propagandistici del WWF risalenti ai primi degli anni novanta:” 2000 camosci per il 2000″; uno slogan, come presto vedremo, in seguito rimasto tale. Infatti, giunti all’anno 2013 il numero totale dei camosci presenti in tutte le Aree Protette abruzzesi ammontava a poco meno di 1500 circa! Il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo nel 1978 asseriva la presenza, nell’area del Parco medesimo, di 400 individui, in lento e costante accrescimento, nel 1994 venivano dichiarati come presenti nella medesima area 800 esemplari i quali hanno fornito gli individui fondanti dei nuovi nuclei di popolazione di tale selvatico oggi presenti nei Parchi abruzzesi. Bene, considerando che l’indice medio annuo di incremento di un branco di Rupicapra pyrenaica si attesta intorno al 25% , i risultati del famoso progetto Life si rivelano alquanto scarsi dopo circa venti anni dall’inizio della sua attuazione!! I motivi del fallimento dell’altisonante slogan erano già facilmente intuibili da numerosi elementi riscontrabili da tutti coloro i quali pratichino la Montagna in modo tale da poter coglierne gli aspetti relativi agli habitat ed ai loro mutamenti dovuti anche alle attività agro silvo pastorali ed alle dinamiche biologiche delle popolazioni delle diverse specie di fauna selvatica che la popolano. Ma se le osservazioni di un semplice viandante della montagna non fanno testo a livello tecnico scientifico e possono essere opposte dalla propaganda spiccia delle lobby del potere pseudo ambientalista, ben altra rilevanza inoppugnabile hanno gli studi in materia di recente condotti e certificati dall’autorevolezza delle Università di Padova e di Siena!!! Orbene da queste ricerche scientifiche risulta quanto andrò in breve a riassumere: il camoscio d’Abruzzo è destinato, con molta probabilità , all’estinzione entro il 2070…..appena tra 50 anni, se pensiamo in contrapposto che il sistema dei Parchi presenti in Abruzzo data ormai 25 anni! Considerando in modo semplice diciamo che le principali cause sono dovute a : 1.i mutamenti climatici che nel loro habitat registrano un aumento delle temperature medie primaverili pari a ca 2 gradi centigradi
2.la progressiva riduzione dei pascoli di media ed alta quota dovuta al decremento delle attività tradizionali silvo pastorali ed al conseguente avanzare della vegetazione arbustiva ed arborea che invade le aree di pasci pascolo
4.il mancato monitoraggio sui cervidi delle malattie infettive come la clostridiosi che qualche anno fa’ proprio nel Parco Nazionale ha fatto molte vittime di camosci ed interrati abusivamente in località casone, additando la morte ad eventi calamitosi, non ci dimentichiamo l’inquinamento del fiume Sangro nel comune di Pescasseroli, scoperto dai Carabinieri al comando del Capitano Befera, dovuto al mal funzionamento del depuratore delle fogne comunali causando morti sospette anche negli animali domestici in alpeggio. Stranamente gli allevatori portano gli animali al pascolo con il risanamento sanitario e quando li riscendono nelle stalle risultano positivi alla brucella e tubercolosi. Quindi sta a significare che noi abbiamo un patrimonio faunistico belle a vedersi mai controllato sanitariamente ed è molto probabile che il nostro patrimonio faunistico sia malato.
5.l’eccessiva competizione alimentare dovuta all’invasione incontrollata della popolazione del cervo il quale ormai si può facilmente vedere comporre branchi numericamente enormi ( addirittura alcuni girano anche nei paesi per cercare più facilmente il cibo) i quali oltretutto, nei periodi di innevamento invernale, provocano anche gravi danni ai boschi maturi mangiando la corteccia degli alberi e provocandone la morte Certamente una più oculata e competente gestione dei citati fattori negativi, su alcuni dei quali è possibile intervenire con immediatezza, almeno per attenuarli, porterebbe di sicuro a prolungare il previsto termine del 2070 per la paventata estinzione del camoscio. Mi limiterò solo ad un altro appunto per far comprendere ancora meglio in cosa sia consistita altresì quella mala gestione naturalistica che sta contribuendo in modo determinante al triste destino di quest’ altre specie di fauna selvatica emblematica delle nostre montagne: cioè scomparire dalla faccia della Terra entro soli 50 anni! Come detto si sono fatti roboanti proclami, si sono spesi cospicui finanziamenti comunitari per la conservazione della Biodiversità ma lo si è fatto per lo più in questo modo: così si può leggere nel testo scientifico di M.Spinetti ( Fauna del Parco Regionale Sirente Velino, 1997) a proposito della reintroduzione del camoscio nella Riserva Natarle dello Stato Monte Velino “……..Si prevede a breve scadenza la reintroduzione del camoscio d’Abruzzo: per quest’ultimo è stato reso noto l’esito positivo dello studio di fattibilità del WWF Italia, con progetto Life 1996″. Bene , anzi male, nonostante tutto i camosci non sono stati mai reintrodotti nella detta Riserva Naturale dello Stato ed il perché è facilmente intuibile, ma la risposta l’affido ad una domanda: forse la loro presenza avrebbe potuto arrecare “fastidio” a coloro i quali vogliono realizzare i nuovi impianti da sci sulla catena della Magnola, il collegamento con la stazione invernale di Campo Felice e l’urbanizzazione dell’altopiano dei Piani di Pezza??
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