Un anno… forse meno?
(di Alarico Bernardi) – Un’ora, un giorno, un mese, un anno?! Questa è la domanda che mi assilla da qualche tempo, lasciandomi nel dubbio che non sia trascorso un anno da quel maledetto 6 aprile del 2009. Le cose, le case, le lacrime sono rimaste sempre le stesse, conservandosi nella loro impietosa attualità. L’Aquila abbrutita, militarizzata, violentata è rimasta immobile, tremando d’orrore, fremendo di rabbia, oscillando per le scosse d’assestamento. Vane promesse, slogan pubblicitari, prefabbricati in legno truciolato e “carton gesso” hanno ingannato l’opinione pubblica, ridimensionando una realtà allucinante: la città non può risorgere dalle proprie ceneri, come l’Araba Fenice, non è possibile che migliaia di abitazioni, insistenti nella cosiddetta Zona Rossa possano miracolosamente tornare ad accogliere i propri inquilini o proprietari. Occorre del tempo e, soprattutto idee chiare, scevre dalla logica dei politicanti.
Il danaro, non è necessario, dunque? Lo è, ma senza volontà rimane un’astrazione, un ectoplasma che galleggia a mala pena nei “sentito dire” o nei “mi sembra”.
Le rondini squarciano un cielo turchino, garrendo sul silenzio della memoria, mentre le dita imploranti delle chiese dirute chiedono un gesto di vera fraternità.
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