Raccontino – LE CARRUBE DI FERRAGOSTO
(GC) – Nel paesino C. la bambina A. aspettava Ferragosto prima di tutto per i fichi freschi detti fellacciani, che il padre le portava da Antrodoco lungo i sentieri della montagna percorsi a cavallo. Più dei fichi, A. si alzava presto il 15 agosto è andava alla fiera del suo paese con soldini spiccioli, per comperare le carrube. Un profumato pacchettino da portare a casa e svuotare prima del pranzo con i parenti, rigorosamente all’aperto.
Alla fiera dell’Assunta arrivavano decine di sgangherate bancarelle e comparivano i tendono colorati, tra vociare e cantare e qualche altoparlante. C’erano dolci, zucchero filato, croccanti al miele, semi di zucca, lupini, olive, noccioline e immancabile le carrube. Che in verità piacciono ai cavalli, ma, come si vede, anche a molte persone. Il cocomero era genere di lusso e pochi se lo permettevano, inoltre si scaldava troppo al Sole.
La bambina A. tornando a casa contenta per le sue carrube (le avrebbe rivista l’anno dopo…) passava accanto ai cavalli legati per le zampe anteriori e allungava qualche carruba agli animali, facendoli felici. Avrebbero gradito anche qualche zolletta di zucchero, ma era roba troppo di lusso e chi ne aveva, certo non pensava alla ghiottoneria dei cavalli.
Ferragosto allora – mica secoli fa, solo qualche decennio – era per tanti soltanto questo: la fiera, le bancarelle, i richiami dei venditori,un poco di musica sfiatata e , anni dopo, il cinema dopo il tramonto. All’aperto o in un locale al chiuso, l se minacciava di piovere.
Oggi Ferragosto fa paura, vedendo in tv giovani scalmanati che sbraitano alla telecamere che il vurus non c’è più e ridono isterici o peggio.
Meglio le carrube. Oppure ad ognuno il suo tempo.
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