L’omelia di Giuseppe Molinari a Collemaggio – “Il cuore colmo di dolore e di morte”
L’Aquila – Questa l’omelia dell’arcivescovo Giuseppe Molinari nella celebrazione del 6 aprile a Collemaggio:
“1. In queste ore, in modi diversi, tante rievocazioni si stanno realizzando, per ricordare quella notte terribile di un anno fa, che nessun aquilano potrà mai dimenticare.
Noi in questo momento stiamo celebrando l’Eucarestia, stiamo facendo memoria della morte e risurrezione di Gesù.
Il nostro cuore, come il cuore di tutti gli Aquilani, è colmo di pensieri di dolore e di morte.
2. Ma il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci invita ad altri pensieri. E apre il nostro cuore a tanta speranza.
Maria di Magdala, donna straordinaria che ha conosciuto le vie del male, ma che dopo l’incontro con Gesù di Nazareth ha imparato a conoscere solo le vie della santità, si reca al sepolcro dove era stato deposto il corpo di Gesù. E’ al mattino presto, è “ancora buio” (annota il Vangelo di Giovanni 20,1) e Maria si accorge che è stata tolta la grande pietra che chiude il sepolcro di Gesù. Allora corre ad avvertire Pietro e gli altri. Qui inizia il racconto di oggi.
Questa corsa mattutina di Pietro e di Giovanni….Arrivano al sepolcro e si accorgono che è proprio come ha detto Maria di Magdala. Tornano a casa. Nel loro cuore inizia a farsi strada la certezza che Gesù è veramente risorto, come egli stesso aveva predetto.
3. In Maria di Magdala invece, dopo che Gesù risorto l’ha chiamata per nome e lei lo ha riconosciuto, la certezza è immediata! Il suo Gesù che l’ha tratta dal fango dei suoi peccati e le ha dato un futuro meraviglioso, quel Gesù vero Dio e vero uomo, del quale cnoscoe ogni lineamento del volto, il colore dei capelli, il fascino degli occhi, il respiro e il timbro della voce, è veramente risorto, ha vinto veramente la morte. Ormai questa certezza abita in Maria di Magdala. E la possiede totalmente. Nessuno potrà più rubargliela.
4. Carissimi fratelli e sorelle dell’Aquila!
Anch’io ho negli occhi il terrore e la mostruosità della notte del 6 aprile di un anno fa.
Anch’io ricordo i volti impauriti e imploranti di tanti fratelli e sorelle.
Anch’io, in quel venerdì santo che ha commosso il mondo, ho contato, piangendo, le oltre trecento bare dei nostri fratelli e sorelle dilaniati dal sisma.
E ho rivisto e rivedo, in questo momento, i loro volti.
Anch’io ho visto i volti sfigurati dal dolore di coloro che hanno perduto le persone più care…
Anch’io io ho visto le nostre case e le nostre chiese più belle devastate e violate.
Ma ora è il momento in cui, come Pietro, Giovanni e Maria di Magdala, duemila anni fa, siamo invitati ad accorgerci che il sepolcro è vuoto e Gesù è risorto.
5. Io, in questa notte del ricordo, vorrei pregare insieme a tutti voi perché il Signore ci faccia questo dono: ci faccia sperimentare che Gesù risorto è certezza di risurrezione per tutte le nostre persone care che il sisma, in quella notte di passione, ci ha strappate. Per credere questo occorre la fede, tanta fede. Se manca questa fede tutto diventa strano e incomprensibile.
Anche il nostro ritrovarci qui questa notte.
Anche il nostro ricordo di chi è stato ucciso dal terremoto.
Anche le esortazioni mie e di chiunque cerca di guardare al futuro con speranza.
6. Rileggiamo e meditiamo per un istante le pagine del secondo capitolo degli Atti degli Apostoli, che abbiamo ascoltato nella prima lettura. All’inizio di questo capitolo degli Atti ci viene raccontata la venuta dello Spirito Santo sugli Apostoli e i primi credenti che si trovavano con loro nel cenacolo (lo stesso luogo dove Gesù aveva istituito l’Eucarestia): “Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At. 2,1-4).
Poi il racconto prosegue informandoci sui vari popoli a cui appartenevano i “giudei osservanti, di ogni nazione”, che in quel momento erano venuti a Gerusalemme per celebrare la Pasqua secondo il rito ebraico. Ci viene raccontata la meraviglia di questi ascoltatori che arrivano a sospettare questi Apostoli che parlano, (illuminati dallo Spirito) come se si fossero “ubriacati di un vino dolce” (At. 2,13).
Poi c’è il discorso di Pietro, il quale afferma energicamente la risurrezione di Gesù, sottolinea che lo Spirito Santo è venuto sui primi discepoli realizzando così la profezia di Gioele e, in modo molto franco, accusa i presenti di essere parte viva di un popolo che ha voluto la morte di Gesù di Nazareth.
E S. Pietro continua, come ci riferisce il brano odierno degli Atti degli Apostoli: “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At. 2,36).
7. Pietro parla a nome di tutti gli altri Apostoli. Essi sono consapevoli di aver potuto fare un’esperienza meravigliosa. Hanno conosciuto Gesù di Nazareth. Lo hanno seguito, hanno visto i suoi miracoli, hanno ascoltato le sue parole. Sono fuggiti, è vero, nel momento della prova, ma poi sono tornati. E soprattutto lo hanno visto risorto. Infine è venuto lo Spirito Santo, che ha rafforzato e consolidato la loro fede in Cristo Risorto. Anzi li ha resi testimoni del Risorto, pieni di entusiasmo per raccontare a tutti la loro storia straordinaria. È a quel punto che Pietro dopo aver raccontato l’incredibile avventura umana e divina di Gesù, chiede a coloro che lo ascoltano di convertirsi, di aprirsi a questo mistero di Cristo.
8. Carissimi fratelli e sorelle, in questa notte, che ricorda, dopo un anno, la più grande tragedia che ha colpito la nostra città negli ultimi tre secoli, anche noi siamo chiamati dalla Parola di Dio a convertirci.
Convertirsi significa cambiare la nostra vita. E come deve cambiare La nostra vita?
Cambiare la nostra vita, dopo la tragedia del terremoto, significa accorgersi che noi non siamo il centro del mondo e non siamo come Dio. Significa, perciò, diventare più umili di fronte al mistero della vita e della morte, della storia dell’universo e della nostra piccola storia personale.
Noi pretendiamo di sapere.
Noi, in realtà, non sappiamo quasi nulla.
Convertirsi significa accettare Cristo nella nostra vita, credere in Lui, amare Lui. Avere una visione della vita e dei suoi valori come lo stesso Cristo ci insegna.
Convertirsi significa credere che questo mondo è destinato ad essere una famiglia, rifiutare l’odio, la violenza, i conflitti ingiusti e tutto quello che minaccia la vita e la libertà.
Convertirsi significa poter sognare insieme un mondo diverso, dove c’è posto per l’amore, la bellezza, la fraternità. Dove ciò che più fa grande un uomo non è l’idolatria del denaro o del potere, ma è la purezza del cuore, il rispetto degli altri, la liberazione dei poveri e dei piccoli.
Convertirsi è lasciarsi dietro le spalle, finalmente, un mondo fatto di ipocrisie, latrocini, corruzione, scandali, ingiustizie, oppressione degli innocenti e battersi con tutto il cuore per la nuova civiltà dell’amore.
9. Cari fratelli e sorelle dell’Aquila, perché non sperare che la tragedia di un anno fa possa segnare una reale e quasi inevitabile divisione tra un mondo vecchio, deformato dall’egoismo, e un mondo nuovo trasfigurato dall’amore e dalla bellezza?
Ce lo chiedono i nostri morti, ce lo chiedono i nostri ragazzi e i nostri giovani ( che faranno l’Aquila del domani).
Ce lo chiede la nostra coscienza. Ma, soprattutto, la nostra fede!
Il racconto degli Atti degli Apostoli, dopo i versetti che abbiamo meditati, ci offre un quadro della prima comunità cristiana: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune, vendevano le loro proprietà e sostanze e li dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio, e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At. 2,44-47).
Dal sacrificio di Gesù nasce un popolo nuovo. Dalla Pasqua di Gesù sorge una comunità capace di vere relazioni di amore, di autentica solidarietà costruttiva.
Anche dalla nostra immensa tragedia il Signore della vita, il re dell’universo, il Dio della Speranza possa far nascere un popolo nuovo, uomini e donne capaci di riconoscere ciò che è vero, giusto e buono, il vero bene di tutti, e gioiosamente appassionati nel costruire una città nuova, L’Aquila del futuro, la città che tutti sogniamo, che tutti desideriamo, che tutti vogliamo costruire con le nostre mani, il nostro cuore e la nostra mente.
Ma soprattutto con la nostra fede e la nostra speranza”.
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