Laurea disoccupata
(di Carlo Di Stanislao) – Per i giovani laureati italiani le difficoltà nel cercare un lavoro sono sempre di più; infatti a un anno dal conseguimento dell’atteso titolo, il tasso di disoccupazione si assesta sul 62%, più di sette punti percentuali rispetto all’anno scorso. I laureati di oggi sono il simbolo di un’Italia che non va avanti e non progredisce, una paese in cui stentano i ricambi generazionali. I dati sono emersi da una ricerca di AlmaMater e, come scrive oggi in prima pagina il Messaggero, parlano chiaro: nei primi due mesi del 2010 le imprese hanno smesso di cercare neolaureati. Basti pensare ai i due titoli di studio più forti sul mercato del lavoro, laurea in economia e ingegneria, che rispetto allo scorso anno hanno registrato un calo pari al 37%. Lo scorso anno il 16,5% dei neolaureati triennali era ancora in cerca del primo impiego, quest’anno hanno raggiunto quota 22%. Stesso discorso per coloro che hanno concluso un ciclo di studi specialistico e parliamo anche di medici e architetti. Per i più fortunati che hanno trovato lavoro invece, il 52% ha firmato contratti di collaborazione o altre forme di precariato e solo il 26,1% ha trovato un lavoro stabile. Tuttavia, scrive sempre il giornale, vi sono ancora categorie richieste ed anzi una domanda inevasa nei confronti, ad esempio, di infermieri, fisioterapisti, ingegneri meccanici ed elettronici, statistici, farmacisti, con industrie che li cercano e non li trovano: uno dei tanti paradossi di un Paese che ignora cosa sia la programmazione ed una Università che ha incentivato più le immatricolazioni che la formazione qualificata. Altro che Bamboccioni, quindi. Le evidenze svelano, una volta di più, la crucialità del tema e la necessità di interventi in questa area strategica, da un punto di vista economico, sociale e culturale. “Una delle principali arene su cui si gioca il futuro dell’Europa e dell’Italia – ha detto Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea, che monitora da dodici anni il fenomeno – è quella in cui si forma e si utilizza il capitale umano. Approfondire una riflessione di ampio respiro su questo versante, evitando i catastrofismi ma anche la politica dello struzzo, vuol dire avere a cuore il futuro ed evitare che il nostro Paese, all’uscita dalla crisi, si trovi in posizione marginale nel contesto internazionale. Vuol dire farsi carico di una vera e propria emergenza giovani evitando che alcune generazioni di ragazze e ragazzi preparati restino senza prospettive e mortificati fra mercati del lavoro che non assumono ed un mondo della ricerca privo di mezzi”. E seppure è vero che i laureati nel lungo periodo intraprendono un destino occupazionale meno disagiato dei loro coetanei diplomati, sembra altrettanto vero che questi ultimi mesi stiano mettendo a repentaglio e frammentando ancora di più i percorsi occupazionali di più di una generazione. Ma i dati di AlmaMater preoccupano anche circa il trattamento stipendiale dei fortunati che vengono assunti. Un ingegnere percepisce uno stipendio medio, netto mensile di 1.100 euro, che arriva, dopo cinque anni, ad un massimo di 1.300. I numeri che vengono fuori da questa indagine sono preoccupanti, soprattutto perché, siamo uno dei paesi che investe meno, in Europa, in sviluppo e ricerca. Prendendo ad esempio tutti gli altri Paesi sviluppati, l’antidoto migliore a tali difficoltà è l’investimento nella formazione, nella ricerca e nello sviluppo. Scommettere nel futuro e farsi carico dell’emergenza giovani, evitando che ragazzi ben preparati possano restare senza speranza e prospettive per il futuro o che dopo l’investimento in formazione disperdano il capitale umano andando all’estero. Ma nutriamo dubbi circa la volontà- italiana di cambiare, in tal senso. A Novembre, si ricorderà, Per Luigi Celli, Direttore Generale della Louis, scrisse una lettera aperta al figlio per invitarlo, da neolaureata, a lasciare questo Paese, un Paese in cui, per le nuove generazioni, non c’è per ora un vero futuro. La lettera di Celli, colma di amarezza e rassegnazione, rappresenta l’esatta fotografia di una Nazione che non ha spazio per valori come la credibilità e il rispetto, l’onestà e il merito. L’unico merito a cui questo Paese lascia spazio, è quello dell’affiliazione politica, familistica o di clan. Parole pesanti, tanto più se si pensa che a scriverle non è semplicemente un genitore italiano, ma un componente della classe dirigente di una delle più importanti università private del Paese. Vale, in conclusione, quanto dichiarato dal prof. Tabelloni, rettore della Bocconi di Milano: “L’anno scorso abbiamo ceduto alle aziende, italiane e straniere, 450mila curricula di laureati. Quest’anno abbiamo avuto il 27% in meno di richieste, anche per lauree come ingegneria e informatica. Se le aziende fanno fatica, rischiano di dover ridurre per primi gli investimenti sul capitale umano e questo vuol dire ipotecare il futuro: una volta usciti dalla crisi, ci ritroveremo all’ultimo posto. Per ora, la nostra Italia è all’ultimo posto e i nostri ragazzi, sono costretti ad andare in giro per il mondo per far vedere quanto sono bravi”.
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