Raccontino – I tedeschi e la campana di Caramanico
(GC) – Durante l’occupazione tedesca, provenienti da Vasto dove mio padre insegnava, ci ritrovammo a Caramanico e lì restammo bloccati, i miei ed io bambino. Eravamo ospiti con altri parenti in casa Colacito, lungo la scalinata (allora) che scendeva verso la chiesa di San Tommaso.
In paese c’erano parecchi tedeschi, interessati da alcune cave sulla Maiella. Il paese era sotto mezzo metro di neve, ma i teutonici arroganti e prepotenti rastrellavano spesso gli uomini del paese per portarli a lavorare ad una teleferica in montagna. Mio padre tornava stremato, lui che soffriva molto il freddo avendo avuto la malaria, e gli dovevano ogni volta bendare le mani insanguinate e semicongelate.
Quanto la facevano gli aguzzini, i tedeschi facevano gli spacconi. Di notte, abbuffati e ubriachi, uscivano per le stradine del paese schiamazzando e sparano in aria. Arrivati presso casa nostra, facevano il tiro al bersaglio mirando ad una campanella attaccata ad un ferro curvo sulla sommità del campanile di San Tommaso. Un singolare campanile con una cupoletta nuda, senza tegole. I cialtroni in divisa nazista tentavano di colpire la piccola campana, usando le loro Luger e qualche volta i moschetti o addirittura le pistole mitragliatrici. Qualcuno ci riusciva e la campana emetteva un rintocco smorzato, debole, tipicamente metallico. A giudicare dai rari rintocchi, quei prodi non erano neppure grandi tiratori.
Lo sguaiato baccano cessava all’alba, quando tutti andavano finalmente a ronfare nei loro giacigli.
Tra tanti tedeschi pessimi, ce n’erano a che due buoni ed educati, Otto e Franz, due ragazzini, che venivano a scaldarsi a casa e chiudeva i loro mitra in uno scaffale a vetri tra tazzine da caffè e cucchiaini. Piangevano parlando delle loro case e delle mamme. Sapevano che non li avrebbero mai rivisti. Mesi dopo sapemmo che erano morti a Cassino con tanti altri commilitoni.
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