Porta Santa, omelia del card.Bertello
L’Aquila – Omelia del Card. Bertello all’apertura della Porta Santa di Collemaggio, questa sera:
“Permettetemi di ringraziare di cuore il vostro Arcivescovo, S.E. il Card. Giuseppe Petrocchi, per il Suo invito ad unirmi a tutti voi pellegrini, convenuti a Collemaggio, per la celebrazione della Perdonanza Celestiniana, e per le parole che ha avuto la bontà di rivolgermi. Un saluto cordiale all’Arcivescovo emerito, Mons. Giuseppe Molinari e a Mons. Orlando Antonini, ai sacerdoti e religiosi e a tutti voi. Desidero altresì porgere un deferente saluto alle autorità civili e militari e, in particolare, al Sig. Sindaco, fedele custode della Bolla di Papa Celestino e della secolare tradizione della Perdonanza, quasi ad indicare che il suo messaggio è affidato a tutta la città e va al di là dei confini della comunità cristiana.
Ero con voi, il Venerdì Santo di dieci anni or sono per i funerali delle vittime del terremoto e mi è rimasta impressa nel cuore l’immagine di quelle bare ed il dolore straziante e composto dei familiari delle vittime. Pensavo proprio a quei momenti, mentre leggevo la lettera che Papa Francesco vi ha inviato nell’aprile scorso, assicurandovi della Sua vicinanza e della Sua preghiera affinché il Signore, nel faticoso cammino della ricostruzione, renda “sempre più coesa e creativa la vostra comunità ecclesiale e sociale, facendovi così coraggiosi testimoni di operosa legalità, di fattiva sinergia e di fraterna solidarietà” (4.4.2019)
La celebrazione odierna è un’occasione propizia per sentirci comunità viva, che si impegna, specchiandosi nella Parola di Dio e nell’Eucaristia, per rinnovare la sua fede e la sua vita cristiana, come si proponeva papa Celestino nel suo ardente desiderio di salvare le anime e di riconciliarle con Dio e i fratelli e, nello stesso tempo, per riprendere con coraggio e speranza il cammino della nostra vita.
E’ quanto abbiamo chiesto al Signore prima di aprire la Porta Santa: che ci rinnovi interiormente per opera dello Spirito Santo; ci apra completamente la porta della sua misericordia e ci conceda di camminare sempre nelle sue vie per essere segno di salvezza e di redenzione per i fratelli. Diceva Papa Francesco, all’annuncio dell’Anno della Misericordia, che abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia di Dio verso di noi perché la sua misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona.
La Perdonanza – lo dice il nome stesso – diventa quindi un invito pressante a lasciarci riconciliare con Dio, ad accoglierlo e riconoscerlo presente nella nostra vita, in una parola, a convertirci a lui, come ci ha ricordato San Paolo. Il Signore ci conosce bene, legge nel profondo del nostro cuore, ci ama così come siamo e si dona a chi è disposto ad aprirgli il cuore. Gli apostoli Pietro e Paolo, ci ricorda ancora il Santo Padre, hanno compreso che la santità consiste nell’affidarsi ogni giorno al Signore e, nonostante le loro colpe, hanno scoperto la potenza della sua misericordia, che li ha rigenerati. Hanno incontrato un amore più grande dei loro fallimenti, un perdono così forte da guarire i loro sensi di colpa. Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio, rinasciamo davvero (Cfr. O.R., 1-2/7/2019).
Vorrei che ci chiedessimo con sincerità: cosa significa per me questo rito? E’ solo la celebrazione di una ricorrenza festosa, pur ricca di tradizioni e di bellezza ma che lascia il tempo che trova, oppure è l’occasione per chiedermi che posto ha Gesù nella mia vita? Gesù è veramente la porta, attraverso la quale tutto il mio essere si apre a lui e si lascia condurre da lui sui sentieri del Vangelo? Gesù, proclamando di essere la porta, attraverso la quale le pecore entrano nell’ovile, afferma che chi crede in lui, quale inviato del Padre per la nostra salvezza, entra nell’ovile di Dio, che è la Chiesa ed egli ne è il Pastore.
Invece, forse dobbiamo ammettere che il nostro rapporto con il Signore spesso è vago, distratto, quasi impersonale, perché si lascia soffocare dalla polvere dell’individualismo, del consumismo, della ricerca del piacere a tutti i costi e, di conseguenza, le nostre scelte non reggono alla prova della cultura imperante, che si va distanziando sempre di più dagli insegnamenti del Vangelo e talvolta vengono banalizzati e anche derisi i principi della fede e della vita morale. Già Sant’Ignazio di Antiochia, un Vescovo dei primi secoli della Chiesa, così scriveva alla comunità cristiana di Efeso: “Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Non si tratta di una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede fino alla fine. E’ meglio essere cristiano senza dirlo che proclamarlo senza esserlo”.
E’ quanto ci insegna il Profeta Isaia: non basta una religiosità fatta di emozioni, che si appaga di gesti esteriori, ma ha il cuore chiuso verso il suo prossimo. Ce lo ripeterà anche San Giovanni, nelle sue Lettere: non possiamo dire di amare Dio, che non vediamo se non siamo capaci di amare il fratello che vediamo. Amare il fratello vuol dire saperlo perdonare, come ripetiamo, forse troppo superficialmente, nel Padre Nostro: perdona i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri debitori. Amare il fratello, ci dice ancora il Papa, vuol dire impegnarsi ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi; a non cadere nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo, nel cinismo che distrugge; vuol dire aprire i nostri occhi sulle miserie del mondo e le ferite di tanti fratelli e sorelle ed ascoltare il loro grido di aiuto (Cfr. M.V. N. 15).
S. Giovanni Paolo II, all’inizio del nuovo millennio, scriveva che la pagina del Vangelo di Matteo – avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito, carcerato e mi avete visitato – non è un semplice invito alla carità, ma è una pagina di cristologia, sulla quale si misura la fedeltà della Chiesa al suo Signore. “Nessuno può essere escluso dal nostro amore, dal momento che con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo…Stando alle parole inequivocabili del Vangelo, nella persona dei poveri c’è una sua presenza speciale, che impone alla Chiesa una opzione preferenziale per loro” (N.M.I, N. 49).
Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore, per l’intercessione della Vergine Maria, Madre della Divina Misericordia e di Papa Celestino, che ci faccia riscoprire la bellezza del suo amore e la dolcezza del suo perdono e ci renda fedeli ed operosi testimoni di Gesù nel mondo per costruire una società più giusta e fraterna.
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