Petrocchi per l’accensione del Fuoco del Morrone
L’Aquila – Questo il saluto del cardinale Petrocchi, arcivescovo aquilano, in occasione dell’accensione del Fuoco del Morrone: “Vorrei sottolineare due aspetti della celebrazione che ci apprestiamo, insieme, ad avviare.
In primo luogo rinnovo l’invito, a tutti e a ciascuno, di impegnarsi a custodire e a promuovere “l’Anima” della Perdonanza, che è esperienza, ecclesiale e sociale, di riconciliazione e di comunione: con Dio, con se stessi e con gli altri. Dobbiamo mantenere una “vigilanza” interiore, attenta e severa, per evitare che la mente e il cuore siano “distratti” dal “centro di gravitazione”, spirituale e comunitario, di questo evento, finendo per disperdersi in iniziative di contorno, il cui fine è solo quello di essere “corona” festosa e riconoscente per il dono della misericordia, ricevuta e trasmessa.
In questa Perdonanza – seguendo l’esortazione di Papa Francesco – «lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio convinto» (MV, n.25).
La Perdonanza è esperienza di conversione e di rinnovamento spirituale: scelta, radicata nella grazia, di vivere secondo il Vangelo. Tale “decisione” fondamentale consente di contribuire alla edificazione della Città di Dio e della Città dell’uomo: l’una “con” l’altra e l’una “per” l’altra.
Il secondo motivo di riflessione poggia sul tema della ricostruzione, attivata dopo il sisma del 2009, di cui ricorre il 10° anniversario. Anche su questo versante possiamo prendere Celestino V come maestro e compagno di viaggio.
Quando Pietro da Morrone fu eletto papa, L’Aquila era una città molto giovane, e si stava rialzando da una distruzione: prodotta dalla mano dell’uomo e non dalla natura. Infatti, era stata appena fondata (nel 1254), poi distrutta da Re Manfredi (nel 1259), che abbatté le mura cittadine, da poco edificate, e la rase al suolo. Nel 1266 era cominciata la ricostruzione. Celestino V conosceva bene i terremoti geologici e quelli umani. Sapeva edificare, sul piano edilizio come su quello comunitario: basta guardare la splendida Basilica di Collemaggio (1287) e l’espansione dell’Ordine religioso da lui fondato.
Era una città-cantiere, L’Aquila del suo tempo: come quella di oggi. Certo, le tecnologie sono diverse, ma lo spirito che percorre questa formidabile impresa è uguale: la stessa tenacia che non si arrende davanti alla devastazione, e riparte da capo, nonostante tutto! È identica la volontà di mobilitare le risorse, morali e civili, per ricostruire la Città nel cuore della gente, garantendo così che l’edificazione delle case avanzi in parallelo con la coscienza di essere un popolo compatto, che fà e non subisce la storia. Per ricostruire bene, perciò, occorre, alla scuola di Celestino V, promuovere la cultura della convergenza solidale e della condivisione, che presuppongono la logica del perdono e la disponibilità a progettare un futuro fraterno, abitato dall’amicizia e dalla speranza.
La consapevolezza dell’ “ancora da fare” non deve togliere la soddisfazione del “già fatto”. Mai dimenticare che la prima risorsa dell’Aquila sono gli Aquilani, se sanno essere uniti.
Nel quadro di questa interazione, da coniugare sempre al “plurale”, cioè nel segno del buon-“Noi”, bisogna aprire i “cantieri della concordia”, sostenuti da coraggiose e perseveranti idealità: religiose, politiche e culturali. Certamente la ricostruzione ha bisogno di “mani”, altrimenti sarebbe solo declamatoria e inconcludente. Le “mani”, però, rinviano alla “mente”, sennò l‘opera sarebbe inappropriata e maldestra. Ma le “mani” e la “mente” esigono un “cuore” pulsante: senza l’amore incondizionato per la Città, abbracciata nella sua interezza; senza la passione per il bene comune; senza la tensione a fissare gli sguardi verso la stessa meta, la ricostruzione sarebbe un’avventura che nasce “malata” e si sviluppa in modo deviante. Una ricostruzione “sana” e destinata a diventare sempre più feconda richiede forti “anticorpi” etici; capacità di coesione, lungimiranti e produttive; e grandi energie, profetiche e creative. Per questo l’Anima della Perdonanza è anche l’Anima della ricostruzione!
Il fuoco, che stasera accendiamo nel tripode, sia segno credibile del fuoco evangelico che arde dentro di noi: invochiamo Maria, Regina di L’Aquila, affinché – come a Pentecoste – divampino in noi le fiamme dello Spirito di Verità e di Amore, che ci rendono testimoni del Signore crocifisso-risorto e, insieme con Lui, sapienti costruttori di una società prospera e a misura d’uomo.
È con questi pensieri e sentimenti che auguro a tutti e a ciascuno: “Buona Perdonanza”!
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