Il traforo, opera ben al di là dell’Abruzzo
L’Aquila – Nel 1987 un aitante e combattivo Bettino Craxi inaugurò il traforo del Gran Sasso, presente mezza Italia. La mezza che contava, allora, sotto le insegne di un potente partito socialista, al quale aderivano i potenti, l’Italia “da bere”, i portaborse, i leccapiedi, i fiancheggiatori, i giovani leoni e tanti vecchi marpioni convertiti al craxismo.
Si inaugura un’opera titanica, il doppio tunnel – allora – più lungo d’Europa. Ma anche un’opera che andava ben al di là del piccolo Abruzzo e delle sue esigenze di mobilità .
Oggi il tunnel lascia passare 10.000 mezzi al giorno e collega le due metà della penisola. Agli sprovveduti cronisti che sciorinano oggi in tv servizi raffazzonati e superficiali sul traforo e sulle esigenze quasi paesane dell’Aquila e Teramo, va ricordato che il traforo è opera imponente, strategica, concepita per le comunicazioni ma soprattutto per ospitare il laboratorio ipogeo più importante del mondo (ricerche scientifiche di interesse mondiale). Altro motivo, mai reso ufficiale, ma sicuramente rilevante, era in quegli anni il bisogno di strutture in grado di offrire rifugio in caso di conflitti nucleari.
Oggi gente che sicuramente non sa o non si rende conto riduce tutto ad un problema circoscritto e banalmente politico o burocratico. Ma non è così e, se si dovesse chiudere davvero, si commetterebbe un errore enorme, dalle ricedute imprevedibili e gravi. Una italianata da due soldi, insomma. Una cosa seria in mano a bambini incoscienti.
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