Ogni tanto qualcuno tenta di appropriarsene
L’Aquila – Poche cose sono certe, di sicuro valore, indiscusse, come l’amatriciana. Alle nostre povere terre – terremotate o meno – resta ben poco da annoverare come affidabile. L’amatriciana, siano maccheroni o altri formati di pasta, è una certezza. Sarà anche per questo che ogni tanto a qualcuno salta in mente di tentare di appropriarsene, come di un territorio inesplorato.
Gli ultimi a farlo, a quanto pare, sono i Reatini, che vorrebbero farne una gloria sabina. Con ferma e rapida reazione del sindaco di Amatrice, che ha detto: “Giù le mani”.
Anni fa, il tentativo di ratto venne da Roma, dove da millenni sono abituati a sottrarre agli altri, come avvenne con le donne sabine. Ma se quelle, a quanto risulta, alla fine accettarono le rozze lusinghe dei capitolini, il popolo dell’amatriciana non è affatto intenzionato a mollare. Chi a Roma tentò di associare il gustoso piatto con il cupolone, fu indotto (anche legalmente) a rinunciare. L’amatriciana non divenne romana, restò quello che era.
Chiariamo. Il più noto tra i primi piatti del Centro Italia non è romano, non è reatino, non è aquilano: è di Amatrice. Pasta, guanciale, pomodoro, pecorino e pepe. Qualcuno usa anche la cipolla. Altri la fanno in bianco con pecorino a pezzetti. Comunque, una squisitezza senza uguali. Che oggi si guasta anche con una stretta al cuore, pensando proprio ad Amatrice.
L’aquilanità di cui si è parlato è approssimativa: Amatrice era in provincia dell’Aquila fino al 1927, e a L’Aquila è legata per storia, dialetto, abitudini, mentalità , antichi rapporti di vario genere. Un’area sicuramente ancora molto “aquilana”, con affetto e legami rinsaldati da recenti tragedie in comune.
L’amatriciana è però di Amatrice, punto e basta, e sempre lo sarà . Via predoni e furbetti da strapazzo.
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