La «Sapienza» dei Borghi (città e paesi)
L’Aquila – Riceviamo da Mauro Rosati: “Il disegno sapiente delle vie, dettato da esperienza, senso pratico e anche valori simbolici e gerarchici.
La chiesa-madre (o la Cattedrale in città ) in posizione dominante, per altitudine o per centralità .
Due gruppi di case (o due gruppi di palazzi) che inquadrano «a cannocchiale» una veduta particolare: per esempio una chiesa, una torre, una piazza, un palazzo monumentale.
Le strade che assecondano la forma del terreno: un monte, un colle, una costa, un piano rialzato al riparo da un fiume. Strade ad anelli concentrici, ad ellissi, oppure strade perpendicolari e perfettamente «incrociate» fra loro; mai per caso però. Strade apparentemente «storte»; volutamente «storte», invece, per assecondare una certa direzione dei venti o del sole; il riparo «da tramontana» e così via.
I tetti «a spiovente», e non a terrazzo, per resistere meglio a pioggia e neve, mai per caso però.
Più in generale: un mosaico organizzato di piazze, piazzette, case, orti (orti urbani in città ), aie e fontanili (o fontane). Un equilibrio di pieni e di vuoti, studiato e non casuale.
Questo sono i borghi storici, innanzitutto. E questo sono i centri storici in generale, nei paesi e nelle città .
I centri storici di borghi e città sono essi stessi monumenti.
Per questo è importantissimo recuperare e preservare i disegni e le volumetrie originali quando si riparano o si ricostruiscono i borghi; per questo è importantissimo rispettare i materiali e i colori locali, i colori naturali di un territorio. Per questo è importantissimo rispettare la forma e le dimensioni delle vie storiche (vicoli, archi, e simili); rispettare la «maglia urbana», che non è nata per caso ma per precise esigenze di adattamento, frutto di un ragionamento più o meno consapevole.
Le strutture dei borghi (città comprese) testimoniano la sapienza tecnica e pratica dei nostri antenati (contadini, allevatori, pescatori, o altro); scelte mai casuali ma sempre dettate da una profonda conoscenza del territorio e del contesto ambientale. Una capacità di analisi acquisita grazie a quel sapere pratico che si imparava «sul campo», nel rapporto quotidiano con l’ambiente circostante.
Una sapienza e una capacità di dialogo con il territorio che la nostra società ha perso, soprattutto nel Secondo Dopoguerra, a seguito di una certa omologazione edilizia. Un’omologazione edilizia che è nata dall’introduzione di nuovi materiali da costruzione (ad esempio il cemento armato) e a seguito dei cambiamenti socio-economici del nostro Paese durante l’«esplosione» industriale e demografica del XX secolo.
La nostra società , che da agricola è diventata prevalentemente industriale e terziaria, ha perso quel rapporto diretto e quotidiano con l’ambiente naturale in cui vive e quindi ha dimenticato anche quella memoria di conoscenze pratiche che portavano a costruire in certi modi e in certi posti, ma sempre in maniera «ragionata».
Oggi pertanto abbiamo il dovere di salvare e/o ricostruire i nostri borghi, unendo le nostre conoscenze tecnologiche alla sapienza dei nostri nonni, rinnovando la sostanza ma rispettando la tradizione locale. Non deve guidarci la presunzione di cancellare il passato perché ci riteniamo migliori di chi ci ha preceduto; ci devono invece guidare l’umiltà e l’intelligenza di saper recuperare le conoscenze pratiche del nostro passato, migliorandole grazie alle nostre nuove conoscenze. Insomma, il meglio di ieri con il meglio di oggi.
Essere «moderni» non significa rinnegare il passato ma vuol dire farne tesoro migliorandolo lì dove è necessario; se serve, fare «piccoli innesti e piccole potature» , ma evitando i «disboscamenti».
Il concetto di «centro storico» (borghi e città ) è diventato forte proprio nell’ultimo secolo, quando la «globalizzazione» dei modi di costruire ha interrotto secoli di tradizioni locali, diverse da un paese all’altro, da una città all’altra. Ecco perché, a differenza del passato, il «centro storico» (di una città o di un paese) è diventato qualcosa da proteggere e recuperare «gelosamente»: proprio perché rappresenta un modo di costruire (materiali, tecniche, colori) e un modo di pensare che oggi non sono più in uso. Per questo non possiamo fare paragoni con il passato: il concetto di «centro storico», molto «recente», ha creato una zona alla quale bisogna avvicinarsi «chirurgicamente», con il massimo rispetto e con la massima attenzione; una zona da considerare non solo per i singoli edifici vincolati, ma come un insieme completo di case e di strade, di edifici «minori» e di edifici monumentali, che soltanto se conservati insieme ci danno un’immagine completa di una città o di un paese. Anche, e soprattutto, se quel centro storico è da riparare o da ricostruire; città o borgo che sia.
E allora: salviamo gli orti urbani e riqualifichiamoli; salviamo le aie dei nostri borghi in modo che anche i bambini di oggi e di domani vi possano tornare a giocare, come facevano i loro nonni e i loro bisnonni (nelle aie si faceva anche questo, oltre ovviamente alle attività agricole). E lì dove gli orti non sono più coltivati, salviamo quegli spazi «vuoti» e ridiamogli nuova vita come piccoli giardini, ma sempre lasciandoli liberi.
Insomma, riallacciamo quei fili tra la nostra società e quella dei nostri nonni e bisnonni. Soltanto così potremo definirci veramente «moderni».
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