3e32: “Gli anni passano, le bugie restano”


L’Aquila – Riceviamo da 3 e 32: “Siamo disgustati/e ma non sorpresi/e dalle parole dell’attuale capo della Polizia, Franco Gabrielli, prefetto e vice commissario di Bertolaso, all’epoca dell’emergenza-terremoto aquilana. Parole che viviamo come l’ennesima offesa e l’ennesima bugia, che arrivano fuori tempo massimo quando ormai su alcuni aspetti la verità storica è assodata.

A Gabrielli e soci – che hanno rilasciato le loro dichiarazioni chiusi nella solita caserma, come dieci anni fa – devono avergli fischiato non poco le orecchie, mentre noi facevamo la presentazione del libro che raccoglie le memorie dei primi due anni di mobilitazione dopo la tragedia del 2009, “Nati alle 3e32. L’Aquila, cronache dal dopo terremoto”, nel rettorato del GSSI, dove c’erano circa 500 persone.

Libro che potete trovare in tutte le edicole del Paese e nel presidio aquilano di CaseMatte, scritti per lasciare una traccia reale di quanto successo e vissuto, nero su bianco, tramite il nostro racconto di quegli anni vissuti da protagonisti, da aquilani, senza abbassare la testa mai nonostante l’enorme apparato di potere che ci trovano di fronte.

Gabrielli nelle sue parole ha voluto celebrare ancora una volta l’operato di un uomo – definito “eccezionale” – come Guido Bertolaso, lamentando persino la presunta infondatezza dalle accuse tra cui quella della sospensione dei diritti civili durante la fase delle tendopoli rivoltegli dai comitati e i movimenti cittadini.

Ha pensato bene di farlo insieme a Gianni Letta, l’uomo che insieme a Bertolaso fu al centro dello scandalo delle “cricche” che ridevano alle 3:32. E c’è ben poco da dire di fronte a tanta cattiva fede, a una mancanza di rispetto tale nei confronti di una popolazione che, durante il primo anno dopo il sisma (e non solo in quel periodo), ha visto la propria città trasformata in un’enorme e diffusa caserma, e in un terreno di caccia per speculatori d’ogni genere, che Gabrielli ha sempre fatto finta di non vedere, forse perché troppo impegnato a reprimere e far processare chiunque protestasse, arrivando finanche alla farsa, che tutti ricordiamo, del “sequestro delle carriole”. Sì, proprio lui, che da Prefetto doveva controllare l’operato degli apparati dello Stato. Lui che da controllore è poi diventato il successore del controllato, passando a capo della Protezione Civile.

Ci rattrista anche il fatto che alcuni media locali diano un enorme spazio a simili esternazioni senza vergogna, raccontando nulla, o poco, sull’iniziativa di ieri, che ha visto centinaia di aquilane ed aquilani unirsi in un momento di memoria, orgoglio e voglia di giustizia.

Ma una cosa non possiamo trattenerci dal denunciare, ancora e sempre: Bertolaso ha avuto ben poco di eccezionale; la macchina della Protezione Civile da lui coordinata è stata tutto, fuorché una gestione improntata soltanto alla solidarietà e alla salvaguardia delle libertà individuali e collettive. Bertolaso è stato, semmai, l’uomo dello stato d’eccezione nel momento in cui è stata trasformata un’intera città, già colpita da una sciagura e ferita nell’anima e nel corpo.

Persino l’acronimo con cui era stato ribattezzata la Scuola della Guardia di Finanza – centro operativo, al tempo, della Protezione Civile – non potrebbe essere più esplicito: “Direzione di Comando e Controllo” (DI.CO.MAC). Per un lungo periodo, il territorio aquilano è stato lo scenario di un laboratorio politico senza precedenti, nella storia dello Stato unitario italiano, un laboratorio in cui sono state messe a punto e rodate tecniche di gestione della popolazione la cui finalità, come si legge nelle linee guida della stessa Protezione Civile (il Metodo Augustus), era niente di meno che spingere la cittadinanza ad “abdicare alle proprie autonomie decisionali, a sottoporsi a privazioni e limitazioni, ad “ubbidire” alle direttive impartite (letteralmente).

Alla loro ricostruzione senza popolo noi gridiamo forte 10, 100, 1000 rivolte della carriole. Perché 6 aprile è tutti i giorni. Sarebbe ora che anche noi aquilani ci ridessimo una svegliata, tornando ad avere le energie e la rabbia di quei giorni, perché la città ne ha bisogno. Solo grazie ad un vasto processo di partecipazione popolare potremo infatti uscire dalla palude dove ci troviamo e ridare un senso a questa ricostruzione, quindi a noi stessi e alla città a cui diamo vita.


08 Aprile 2019

Categoria : Attualità
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