LA PERDONANZA NELLA STORIA AQUILANA
di Enrico Cavalli *
Dalle origini di Aquila ai Celestini -
Nella sua trattazione su “L’architettura religiosa aquilana” del 1988, Mons. Orlando Antonini, Nunzio apostolico, affermava che “il numero di chiese cospicuo a L’Aquila” non si spiega solo come semplice prevalenza dell’espressione religiosa sulla laicità, bensì da un lato con l’origine della città, nata dalla integrazione degli antichi territori amiternini e forconesi, dall’altro con la “vitalità della locale comunità cattolica”. Il riordino della penisola per effetto delle discese imperiali, vede, nel 962, coerentemente con gli assi geografici, la donazione dell’imperatore Ottone I a papa Giovanni XII delle terre che vanno da Amiternum a Beffi e dal Gran Sasso a Rocca Di Mezzo.
L’osmosi di abbazie e l’incastellamento normanno produceva la feudalità. In una lettera del 1229 di papa Gregorio IX al vescovo di Forcona, Tommaso da Padula, si permetteva alle genti dei ‘99’ Castelli situati lungo la valle dell’Aterno di estendere la “pontificia” Santa Maria di Acquili-Accula verso monte Roio, costituendo una libera città, antitetica alle circostanti baronie, nonché al Giustizierato sulmonese. Nel 1254, senza escludere del tutto una regia del cancelliere imperiale Gualtieri di Ocre (non scevra però da una possibile influenza dei Templari, imbarcantisi dalla longobarda Piscaria per le Crociate), su diploma di Corrado IV, figlio dell’imperatore Federico II, era ufficializzata Aquila, con i benefici di Innocenzo IV, il cui successore Alessandro IV vi trasferì nel 1257 la diocesi di Forcona.
Fra ghibellini e guelfi, la più grande conurbazione del Medioevo europeo, difendendo le pretese sicule di Edmondo, figlio di re Enrico III d’Inghilterra e vicino al Papa, subì nel 1259 la distruzione dallo svevo Manfredi, per risorgere nel 1265 grazie agli uffici del Nunzio apostolico Jacopo da Sinizzo presso re Carlo I d’Angiò, che, sbaragliate le truppe imperiali di Corradino di Svevia nel 1266 a Tagliacozzo, volle una sua reggia ad Aquila, poi sede dei domenicani.
Quale che sia stato il rapporto tra la Chiesa e il potere civile, di cui la stessa cerimonia del Perdono che si annunciava sarà intrisa – si pensi alla controversia sul privilegio di lettura della Bolla -, resta il fatto che le iniziative ecclesiali siano state fecondate dagli Ordini religiosi, in una città divisa in quattro Quarti, facenti capo alle chiese di San Giorgio di Bazzano (poi, Santa Giusta), Santa Maria di Paganica, San Pietro di Coppito, San Giovanni di Lucoli (poi, San Marciano), ognuna delle quali rappresentativa dentità partecipanti alla fondazione della nuova città, avente promiscuità demaniali negli antichi Castelli, come correttamente ha osservato Fabrizio Marinelli.
Senza tacere del Francescanesimo, sostitutivo dei Cistercensi, il più indigeno fra gli Ordini religiosi stanziali è quello dei Celestini, con identificazione civica. E questo non solo per il carisma del suo fondatore, Pietro Angelerio dal Morrone. Dopo il viaggio a Lione del 1273, ottenuta da Gregorio X la conferma e la denominazione celestiniana per la sua congregazione benedettina, l’asceta e mistico morronese nel 1287 riceve ad Aquila dal vescovo Niccolò da Sinizzo il placet per nuova chiesa e badia – al posto di Santa Maria dell’Assunzione – a Collemaggio (Colle maggiore) extramoenia.
La cerimonia della Perdonanza
A porre fine allo stallo del Conclave di Perugia, che durava dal 1292, per la successione a Niccolò IV, auspice Carlo II d’Angiò, l’eremita Pietro sarà incoronato papa Celestino V, nella chiesa di Collemaggio ad Aquila, il 29 agosto del 1294, festività della decollazione di San Giovanni Battista. C’è da notare che Pietro, non sganciandosi dallo spirito benedettino, giusta la Bolla ’Inter Sanctorum solemnia’: “Nos qui (…) in ecclesia Sancta Mariae de Collemajo, Aquilensi Ordini S. Benedicti (…)”, concedeva, in tempi di lotte civili, l’indulgenza plenaria ai fedeli che dai vespri del 28 a quelli del 29 agosto di ogni anno, sinceramente pentiti e confessati, recitanti il ”Pater Noster, Ave Maria, Gloria, Credo”, fossero entrati nella basilica di Collemaggio, facendo così esperienza del Perdono evangelico, ricevuto, vissuto e dato, che fa crescere personalmente e collettivamente, come corpo che edifica sé stesso nella carità (Ef, 4,26), per la redenzione universale.
La cerimonia della Perdonanza non è un normale anno giubilare come quello del 1300 indetto dal successore Bonifacio VIII, ma uno stile di vita evangelico in conversione dell’animo, liberatorio di schiavitù sociali. Avveniva alla vigilia della transumanza, per una città meta di pellegrinaggi e snodo strategico sulla via degli Abruzzi da Firenze a Napoli (stando a Maria Rita Berardi). Questo crogiuolo celestiniano faceva sì che “l’Aquila sobrana, la meliore città prima della Toscana” – così eternata dalle rime di Buccio di Ranallo, l’unica autonomia demaniale nel feudalesimo meridionale – conoscesse in poco tempo una sua terza conurbazione e fieristica.
Cessato lo sconcerto a seguito dell’abdicazione, il 13 dicembre 1294 a Napoli, del primo Papa esercitante l’ufficio petrino fuori Roma, cui seguì la sua traduzione a Fumone su volere di Bonifacio VIII, che sospese la Bolla istitutiva della Perdonanza, alla sua scomparsa ecco aprirsi lo spartiacque della canonizzazione di Pietro Celestino per miracoli riconosciuti, disposta dal papa francese Clemente V nel 1313. Come “confessore” però, contrariamente a quanto avrebbe voluto il re francese Filippo IV. Il persecutore dei Templari – e qui si profila, per Maria Grazia Lopardi, una consonanza fra l’ordine religioso-militare ed i Celestini) pretendeva infatti l’elezione del “nostro” a “martire”, allo scopo di screditare la potestà morale della Chiesa, alludendo alla fine terrena del papa eremita nelle segrete di Bonifacio VIII. E’ qui che si menzionano le tante leggende sorte sul foro nel cranio del papa santo, ascrivibili, sulla base di ricognizioni scientifiche, alle scorribande dei “sanculotti” francesi a Santa Maria di Collemaggio, al tempo dell’occupazione del 1799.
Dal Quattrocento al Seicento
Il succedersi nella città dell’Aquila di sismi ed epidemie favorì la grande diffusione del culto per il nostro Santo, innalzato dalla Congregazione delle Arti a protector urbis, ed il cui corpo, trasportato proditoriamente da Ferentino a Collemaggio nel 1327, fu oggetto di feste e venerazioni il 19 di maggio, giorno del suo martirologio, manifestazioni destinate a restare vivide nella memoria collettiva. Ora, la comprensibile obiezione sul rischio di mondanizzazione dell’evento ha un limite nella circostanza evangelica (Lc 6, 24), per cui non è la ricchezza in sé da rifiutare, ma l’uso che se ne fa, secondo un principio esplicitato nella Dottrina Sociale della Chiesa.
Fra cattività avignonese e i due Scismi d’Occidente, a fronte di un autoeclissarsi delle autorità vescovili e ai traviamenti dell’Ordine domenicano aderente all’antipapa francese Clemente VII, i Celestini, che rafforzano la femminile claustralità ed equiziana di San Basilio, fra le due uniche in Italia ancora resistenti (lo sottolinea Alessandro Clementi), si esplicitano in campo politico-amministrativo con i priori Matteo, Marino e Giovanni, che accedono alle magistrature civiche, diventando compilatori dei municipali diplomi, bolle, sigilli.
Le qualità teologiche-umanistiche dei Celestini saranno illustrate dai venerabili Luca Mellini, Pasquale Tristabocca e il francese Giovanni Bassando di Besançon, a riordino conventuale che necessiterà di apertura dell’Osservante Giovanni da Capestrano; quelle artistiche da Muzio Alfieri e Carlo Ruther di Danzica, pittori e restauratori di Collemaggio, senza contare che le laudi celestiniane sono antesignane forme musicali autoctone, come ricorda Francesco Zimei.
Di questa intima quanto consapevole compenetrazione fra la tiara e il gonfalone, i monaci celestiniani, per dirla con Raffaele Colapietra, tanto attraverso le Arti quanto nella resistenza a Braccio da Montone nel 1424, incarnano lo spirito della libertas aquilana: tema fortunato nell’Illuminismo, ma carico di laicità e privo dell’animus di ricomposizione del Comitatus aquilanus, visto l’affermarsi della tesi sulla fondazione federiciana della città e la “causa sulla bonatenenza”.
Gli sviluppi socio-economici dell’Ordine celestiniano erano sottesi alla civiltà agraria, sino all’Osservanza francescana, che coi Monti di pietà innervava in senso mercantile una città che, nel cosiddetto secolo d’oro, era seconda solo a Napoli nel regno meridionale. L’armonia fra gli Ordini religiosi viene dal richiamo ‘ad Aquilam’ di Bernardino da Siena, nel 1444, preceduto a Sella di Corno dalla “visione di Celestino V”. Le migliaia di fedeli che lucravano l’indulgenza dopo il corteo della Bolla, presa alla Cappella della torre civica dalle magistrature che si incontrano a piazza del Duomo con le autorità vescovili per poi dirigersi alla basilica di Santa Maria in Collemaggio, indussero papa Sisto IV a perpetuare la cerimonia del Perdono; e il francescano Giovanni da Capestrano, con precisa indicazione urbanistica, perorò la realizzazione di una strada tra Porta Bazzano e la basilica mariana.
La posizione di rigorosa condanna della pratica dell’usura da parte degli Osservanti riduce gli spazi della predicazione dei Celestini sul perdono teologico, che è la risposta alla critica protestante sulle indulgenze ecclesiastiche. In linea con le istruzioni del Concilio di Trento, la cerimonia del Perdono celestiniano serve il vero messaggio evangelico della remissione dei peccati, inteso come cooperazione fra il libero arbitrio dell’uomo e la fede salvifica del Dio misericordioso. A minare la saldezza celestiniana locale stava, come dice padre Giacinto Marinangeli, quella diarchia, già in nuce posta in essere nel 1378 dall’antipapa francese, che concedeva ai confratelli parigini la supremazia su omologhe abbazie aquilane. Si chiamò in causa una sinergia laica e religiosa nella dominazione ispanica. Si registra anche il lascito pacificatorio di Margherita d’Austria, con la statua in argento di Celestino V, che gli aquilani donavano a Clemente VIII in occasione del Giubileo del 1600; mentre Paolo V e il cardinale Roberto Bellarmino sistemavano l’Ordine celestiniano.
Dal Settecento al Novecento
Erano gli ultimi bagliori, nella modernità supposta, le contese sull’uso del pontificale e la durata delle celebrazioni in oggetto fra l’abate di Collemaggio e i vescovi aquilani. Dopo l’interdetto diocesano del 1720, l’Ordine celestiniano, riformabile da Clemente XIV nel 1773, ma non da Pio VI, tradotto in Francia col Capitolo generale del 1797 si espose alla soppressione napoleonica del 1807, concedendosi Collemaggio ai conventuali nel 1820. Fra ‘800 e ‘900 la cerimonia del Perdono vede sempre i devoti ricevere dalla torre della basilica di Collemaggio la benedizione anche per le greggi pronte per la transumanza, al suono delle campane. Da qui prende avvio l’usanza successiva di suonare i pomelli di carrozze, biciclette, automobili. Si tratta di estrinsecazioni laiche della Perdonanza, secondo l’accezione dannunziana, nel tempo in cui il direttore della Biblioteca provinciale, Enrico Casti, sollecitava migliori rielaborazioni dell’identità celestiniana.
Fra le due guerre mondiali si rievoca l’incoronazione di Celestino V, filmata dall’Istituto Luce del sulmonese Alessandro Sardi nel 1932, nell’ambito del recupero di saghe italiche durante il Ventennio: il tutto a cura del Comitato turistico di Antonio Ciarletta ed Emilio Tomassi, in favore della Grande Aquila, mentre il vescovo Gaudenzio Manuelli ripropone Celestino V al culto locale, inserendolo nel nuovo breviario arcidiocesano. Da qui l’appello, in un volumetto del 1935 di storia religiosa aquilana di Alfonso Catignani, affinché “la gloria nostra dei Celestini, risorga in questa forte e gentile terra d’Abruzzo”.
Dopo il 1945, nel 13° Cinquantenario dell’incoronazione di Celestino V, con esposizione delle sue reliquie sacre ad un popolo festoso e riconoscente per la fine delle ostilità belliche, c’è il ripiegamento mediatico della Perdonanza, pur in una declinazione storico-letteraria ed artistica. Riguardo all’aspetto letterario, si ripropone la sempiterna discussione sull’attribuzione dantesca al papa eremita del “gran rifiuto” (Divina Commedia: Inf. III, 58-60), sottovalutandosi il parere opposto di Francesco Petrarca, poi ripreso da Ignazio Silone nella sua “Avventura di un Povero Cristiano” e la posizione mediatoria di Jacopone da Todi. Sotto un aspetto più squisitamente artistico, si assiste invece alla progettazione dell’ostensorio della Bolla a forma di aquila, che sarà realizzato dall’artista Remo Brindisi, artista che molto darà alla città, in termini di opere insigni, anche per la Processione aquilana del Venerdì Santo.
La Chiesa del Concilio Vaticano II apre alla riflessione su Celestino V, e Paolo VI recandosi con intento spirituale a Fumone nel 1966, su interessamento dell’arcivescovo dell’Aquila Costantino Stella, inserisce per prima la Perdonanza nelle Indulgenze ecclesiastiche, riconoscendo pertanto l’autenticità della Bolla. Da qui, a fine anni Settanta del secolo scorso, la ricerca del vero giubileo aquilano. A questo riguardo, il rettore della Basilica di Collemaggio, Padre Quirino Salomone, su idea di Umberto Cavalli e collaborazioni di Floro Panti, Carlo e Franco Gizzi, Mario e Andrea Corridore, vara “Il Fuoco del Morrone”. A rievocazione del Corteo dell’incoronazione papale, dagli eremi morronesi la fiaccola giunge fino al “Colle de Majo” il 28 agosto, tramite una staffetta podistica: è l’aspetto scenico dell’Indulgenza plenaria, atta a sanare tutte le infermità umane.
Da queste energie religiose e civiche incentrate sull’accensione del tripode prende avvio la “rivitalizzazione” della Perdonanza, il 28 agosto 1983, con il Corteo storico della Bolla e battitura con ramo d’ulivo del Getsemani per l’apertura della Porta Santa da parte di un Cardinale, che quel primo anno sarà Carlo Confalonieri. Quindi l’indomani la processione all’incontrario, dalla basilica alla torre civica, per la riposizione della Bolla nella sua antica Cappella.
Infatti in quel 1983, col favore dell’arcivescovo Carlo Martini, per impulso del sindaco Tullio de Rubeis, con la presidenza di Serafino Petricone alla Provincia, la Perdonanza viene “rivitalizzata” e istituzionalizzata con la consulenza creativa di Errico Centofanti, che ne cura la rinascita con un rigoroso progetto, essendone per diversi anni il Sovrintendente. Sotto la progressiva egida anche del Centro celestiniano, ecco dunque la Perdonanza da offrire al mondo come un tempo. Era stata lambita il 30 agosto 1980 dalla visita apostolica a L’Aquila di Giovanni Paolo II, esplicitante già parole e gesti del profetico suo lungo pontificato, che avrà fasi meditative sul Gran Sasso.
Un attento protagonista della stagione di cui si riflette, Goffredo Palmerini, assessore comunale nell’amministrazione di Tullio de Rubeis (1980-’85), in uno scritto della “rivitalizzazione” riferisce nel dettaglio la genesi e rammenta lo spuntare di un’apposita fondazione di personalità del mondo civico e religioso durante quella sindacatura. Come pure nelle successive sindacature di Enzo Lombardi, Marisa Baldoni e Giuseppe Placidi, confermata in quelle pur culturalmente opposte di Antonio Centi e Biagio Tempesta, per gestire i vari aspetti della manifestazione, che nel versante laico hanno il clou nell’ “isola sonante”, per musicalità multitasking nelle piazze dei quattro Quarti cittadini.
Accanto alle devozioni religiose ci sono fascinazioni di massa, per manifestazioni collaterali talora discutibili, ma che prevalentemente, per spessore di esibizioni artistiche, danno visibilità mondiale a L’Aquila, capitale della Pace tra i popoli, in ere di ridondanti guerre nel pianeta. A spezzare il quadro armonico, nel 1988, il trafugamento delle spoglie di Celestino V dal suo mausoleo cinquecentesco di Girolamo da Vicenza, perdurando, oltre il suo ritrovamento, speculazioni di vario tenore che non rendono giustizia al dato storico, per cui il dibattito in argomentum ferve e determina prese di posizione critiche fra gli studiosi locali.
In parallelo, non immune da dispute storico-letterarie, c’è una editoria sull’Ordine celestiniano che va dalla rivista ”La Perdonanza” di Dante Capaldi, Giovanni Frassanito, alla pubblicistica di Emidio Di Carlo, Angelo De Nicola, Paolo Cautilli, Luca Ceccarelli, Maria Grazia Lopardi; una convegnistica pluridisciplinare del Centro celestiniano e della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, dal 1982 al 1995, con presenze del gotha sul medievalismo, quali Raoul Manselli, Jacques Le Goff e Edith Pazstor; per finire, ad exempla, alle trattazioni privilegiate di Daniele Pinton e Carmelo Pagano Le Rose sui codici di Celestino V, da cui la inusitata capacità di un papa legislatore, ma ammantato dell’età dello Spirito, secondo la visione profetica di Gioacchino da Fiore.
Gli anni Duemila
Nella Perdonanza del secolo XXI ci si sofferma sullo svolgimento e sulla composizione del Corteo della Bolla, anche se non sempre sono rispondenti i criteri storici ed organizzativi. Si verifica il coinvolgimento massivo di associazioni, confraternite locali e città mondiali gemellate con il capoluogo abruzzese, con un riguardo tutto particolare alla città tedesca di Rottweil, patria di quell’Adamo venuto ad Aquila nel 1472 in qualità di braccio destro di Johannes Gutenberg. Si assiste alla proposta di far scortare la teca contenente il messaggio celestiniano da una Dama e Giovin Signore, selezionati fra studenti aquilani. La superfetazione popolaresca del compito di far custodire la Bolla alla civicità, la risposta a svarioni gestionali su spettacoli e premialità legate all’evento, passano per la necessaria ripresa d’interesse per i riti religiosi.
Significativo, a parere di un “celestinologo” del calibro di Walter Capezzali, che si sia rinvenuto il più antico ritratto del 192° papa in uno degli affreschi della chiesa aquilana di San Pietro a Coppito, prima dell’indicibile tornante sismico del 2009, che non ferma i riti della Perdonanza, e l’ingresso sia pur parziale dei fedeli alla basilica di Collemaggio. Come non ricordare il 28 aprile 2009, quando l’arcivescovo Giuseppe Molinari e il sindaco Massimo Cialente accolsero in visita alla sì tanto vessata L’Aquila papa Benedetto XVI, che donò raccolto in meditazione il suo sacro Pallio al cenotafio di Celestino V, mentre il successore di papa Ratzinger, Jorge Mario Bergoglio, fu ordinato sacerdote proprio il 13 dicembre, giorno delle dimissioni di Pietro dal Morrone, come osserva Mario Setta.
Siamo alla peculiarità della rappresentazione più virtuosa, della dialettica tra religiosità e civismo, in un contesto aquilano che attende la sua riedificazione, non disgiungibile da fattori di riconciliazione morale, fra le componenti storiche di una conurbazione basata sull’equilibrato rapporto fra uomo e ambiente, come dal dono di Celestino. Nel suo messaggio pastorale per la Perdonanza, precedente l’anno del Giubileo Straordinario indetto da papa Francesco nel novembre 2015 dalla cattedrale centroafricana di Bangui – gestita dalle suore celestine – l’allora arcivescovo dell’Aquila sottolineava che entrambi i momenti si fondano sull’esperienza evangelica e sulla categoria teologica del Perdono, che non vuol dire cedere al torto subìto ingiustamente, ma è l’unica arma per vincere la condizione di peccato che ha indotto all’atto negativo.
La Perdonanza, sempre svoltasi nel rispetto della storia municipale, nell’edizione del 2016, interpretando i sentimenti degli aquilani, vedeva annullate dalla Municipalità le manifestazioni laiche, in omaggio all’immane patimento delle amiche genti di Amatrice e dell’Italia centrale, colpite dal sisma del 24 agosto. Occorre, dapprima per la sindacatura di Massimo Cialente e particolarmente per l’attuale di Pierluigi Biondi, il rafforzamento delle superiori valenze religiose di un evento che si vuole accreditare a Patrimonio immateriale dell’Umanità dall’Unesco, senza accantonare le feste civili, affidate all’assessore alle politiche culturali Sabrina Di Cosimo con la direzione artistica di Leonardo De Amicis, aquilano e direttore d’orchestra.
Con la Perdonanza 2018 la ricostruita basilica di Santa Maria di Collemaggio ridiviene centrale per l’accensione del tripode sulla sua torre chiesastica. Due mesi prima la basilica teatro della sua prima messa da Cardinale, l’arcivescovo Giuseppe Petrocchi, assieme al suo eminente collega João Braz de Aviz aprono la Porta Santa: la prima volta, in 724 anni, due porporati con mandato papale a dischiudere la prospettiva reale del dono celestiniano di riconciliazione al mondo. Al di là delle occasioni d’analisi e confronto sulla Perdonanza antica e moderna, insieme alla Indulgenza da lucrare, occorre l’impegno concreto per la conversione, se si vuole essere persone in rinnovamento, come un po’ la storia aquilana, nei secoli, all’insegna dei valori di pace, solidarietà e riconciliazione.
*storico
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