Francia: difficile riforma codice penale


L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – Non usano mezzi termini le migliaia di manifestanti, tra magistrati, avvocati e agenti dei servizi giudiziari e penitenziari francesi, che ieri sono scesi in piazza a Parigi e in tutta la Francia contro il progetto di riforma del codice penale fortemente voluto dal presidente francese Nicolas Sarkozy e che prevede, tra l’altro, l’abolizione del giudice istruttore, figura indipendente del sistema giudiziario. Il loro esplicito slogan: “No alla rottamazione della giustizia.” A Parigi hanno sfilato 2.300 persone fra giudici ed avvocati e varie centinaia in altree città della Francia, per manifestare contro il progetto di riforma del codice penale che sarà oggetto di un progetto di legge entro l’estate. L’ex-ministro della Giustizia, la socialista Elisabeth Guigou, che ha partecipato alla manifestazione di Parigi, si è detta “disgustata” per il progetto del governo Sarkozy. Hanno aderito a questa prima protesta unitaria, promossa da circa venti sindacati e associazioni di diverso colore politico, anche gli agenti penitenziari, che puntano il dito contro la “disumanizzazione” delle carceri francesi, in un contesto in cui l’onnipresenza della videosorveglianza non ha ridotto le tensioni e le aggressioni. Non sono pochi i problemi che Sarkozy sta vivendo a più della metà del suo mandato, con un gradimento popolare sempre più in picchiata, critiche alla sua condotta e a quella della “premiere dame”, derive razziste di alcuni ministri e disoccupazione galoppante. Va male anche in politica estera, con il progetto dell’Unione Mediterranea, da lui fortemente voluto, che rischia di naufragare. Ma Sarkozy non ha alcuna intenzione di gettare la spugna. Il progetto dell’UPM è centrale per il suo sforzo di diplomazia globale. Il suo slogan è che “il futuro dell’Europa è a Sud”. Ma di fatto, dal marzo dello scorso anno e dopo la guerra di Gaza, il progetto è congelato, nonostante inviati plenitpontezari del suo Governo si siano rivolti al Club di Monaco: un prestigioso gruppo internazionale di uomini di stato ed intellettuali, che si riuniscono una volta all’anno per discutere i problemi del Mediterraneo sotto la presidenza di Boutros Boutros-Ghali, ex segretario generale delle Nazioni Unite e di Claude de Kémoularia, ex ambasciatore francese e banchiere. E problemi il presidente “del fare” francese, li sta vivendo anche circa il nucleare. La Conférence intenationale sur le nucléaire civil che si è chiusa ieri 9 marzo a Parigi, sta puntando molto, con la complicità della dirigenza dell’Ocse e di quella del presidente della Commissione europea Manuel Barroso, ad indicare la via francese al nucleare come la più virtuosa per realizzare le centrali e per scongiurare allo stesso tempo la corsa alla non proliferazione delle armi nucleari. Una via che in realtà ha una storia molto più accidentata, avviata con esperimenti nucleari in Algeria dei quali proprio in questi giorni spuntano le vittime dimenticate, e legata a filo doppio proprio alla proliferazione nucleare ed alla costituzione della Francia in potenza atomica con una “force de frappe” di dissuasione nucleare voluta da De Gaulle già nel 1958. Il nucleare civile francese ha quindi un padre militare, come quasi tutti quelli delle grandi potenze del club nucleare che oggi vorrebbero impedire che altri facciano quel che loro hanno iniziato per prime. La “force de frappe” di De Gaulle, ereditata dal gollista Nicolas Sarkozi, è ora messa al servizio delle industrie nucleari (statali) francesi che guardano con l’acquolina in bocca (e le tasche piene di debiti) alla torta degli oltre 450 nuovi reattori che secondo la World Nuclear Association (Wna), dovrebbero essere costruiti nel mondo in 35 Paesi (Italia compresa) entro il 2030. Che la Wna sia la confederazione delle imprese nucleari istituita nel 2001 e che rappresenti il 95% della produzione di elettricità nucleare del mondo al di fuori degli Usa, non sembra disturbare assolutamente i delegati dei 60 (o 65 a seconda delle fonti) paesi riuniti alla sede dell’Ocse a Parigi, evidentemente abituati a questi enormi conflitti di interesse e che accolgono come oro colato previsioni che, se realizzate, prosciugherebbero gran parte dei finanziamenti destinati alle energie rinnovabili e allo sviluppo sostenibile e farebbero schizzare alle stelle il prezzo del già scarso uranio. Il gigante nucleare francese Areva ha spiegato che il 20% del mercato dei nuovi reattori da costruire sarà in Paesi senza nessuna esperienza nucleare. Sarkozy ieri, dopo essersi lamentato degli scarsi finanziamenti internazionali pubblici al nucleare, ha anche chiesto l’istituzione di una “banca del combustibile” gestita dall’Iaea per evitare le interruzioni dell’approvvigionamento di uranio, ammettendo implicitamente che il nucleare ha gli stessi problemi di accesso alle risorse del petrolio, come dimostra anche il recente colpo di Stato in Niger, la bottega nucleare che Areva pensava di tener aperta a proprio piacimento. Il segretario aggiunto per l’energia Usa, Daniel Poneman, ha detto: “Dobbiamo continuare a concentrarsi sulla sicurezza. Un incidente nucleare da qualche parte è un incidente dappertutto. Gli incidenti di Three Mile Island (Usa) nel 1979 e di Cernobyl (Ucraina) nel 1986 avevano portato al congelamento della maggior parte delle costruzioni di centrali nucleari nel mondo. Questa pagina sembra attualmente ben girata”. E sulla sicurezza è intervenuta la vera padrona di casa, la presidente di Areva Anne Lauvergeon, fresca reduce dalle polemiche su Niger e dintorni e sulle rivelazioni fatte da “Sortir du Nucléaire” sui pericoli del reattore Epr, il presunto “gioiellino” atomico francese. La Lauvergeon ha avuto l’improntitudine di mettere in guardia la Conferenza dallo sviluppo di centrali nucleari nei Paesi emergenti dove i prezzi andrebbero a detrimento della sicurezza: “Non possiamo vedere svilupparsi un nucleare a due velocità: un nucleare low cost e cheap per alcuni e un nucleare high standards per gli altri”. Russi e cinesi non sono sembrati molto contenti né di Sarkozy né di Areva. Insomma se l’Italia piange la Francia non ride. Anche perché si aggravano i gossip su una crisi fra Nicholas e Carlà, una crisi che sarebbe avanzata a tal punto che Carla Bruni condividerebbe il suo nuovo amore con il cantante francese Benjamin Biolay, mentre Nicolas Sarkozy avrebbe risposto prontamente consolandosi con il suo sottosegretario all’Ecologia – e campionessa di karate – Chantal Jouanno. La vicenda sta facendo il giro dei blog e – nota il quotidiano britannico The Daily Telegraph, che come tutti i tabloid d’Oltremanica ha accolto la voce come la manna dal cielo – è la prima volta dal loro primo fatale incontro del 2007 che il matrimonio presidenziale viene dato in seria crisi: d’altronde Carla non tardò molto a spiegare pubblicamente che la monogamia l’annoiava, né va dimenticato che Sarkò ha già superato da un pezzo la metà del suo mandato. Ai francesi, ‘altronde, la Bruni non è mai piaciuta e forti sono state le critiche dell’opinione pubblica, in questi giorni, per lo strettissimo abito indossato senza reggiseno ad una cena di Stato e per la notizia che sarà una delle interpreti del prossimo film di Woody Allen: una commedia – ancora senza titolo – che sarà girata a Parigi questa estate. Insomma da vizi privasti e scandali pubblici la coppia presidenziale se la passamale e la Francia non sta davvero meglio.

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10 Marzo 2010

Categoria : Cronaca
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