LA NUOVA REALTÀ
Un’analisi della società contemporanea
di Mario Setta
Saper vedere e interpretare correttamente i segni dei tempi non è facile. È anzi una dote rara. Ma si può e si deve tentare di farlo perché la nostra esistenza si colloca nel tempo. Nella storia. Un cammino in cui siamo coinvolti come singoli e come collettività. Durante la seconda guerra mondiale, in pieno clima di Resistenza antifascista, un gruppo di donne sotto la guida di Ada Gobetti, vedova di Piero Gobetti, morto il 28 dicembre 1926 a causa delle percosse e violenze subite, decide la nascita di un giornale dal titolo “La nuova realtà”, “quella che tutti uomini e donne vogliamo creare per il domani”. La fine della guerra e la necessità di ripensare ad un nuovo modo di vivere nel mondo, senza più guerre e senza confini territoriali, rappresentavano la base per un progetto di pace e di collaborazione tra nazioni.
In seguito, il fallimento nella creazione dell’Europa, come delineata nel Manifesto di Ventotene, “Per un’Europa libera e unita”, scritto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e in particolare il rigetto della Carta Costituzionale al referendum, hanno favorito il ritorno a comunità chiuse e regressive, segnando la fine d’un cammino pieno di speranze e dando luogo all’individualismo, al nazionalismo più antiquato e retrivo. Oggi, a livello internazionale, la battaglia, l’acredine e l’emarginazione nei confronti dei migranti, uomini e donne in cerca di sopravvivenza, hanno aperto il più grande baratro disumano. Il razzismo è tornato. La terra casa comune, pura utopia.
Se la storia è sempre l’oggi che guarda al passato, diventa essenziale ricordare e riprendere le teorie kantiane per tradurle in pratica. Immanuel Kant, il grande filosofo tedesco, nell’opuscolo “Per la pace perpetua” espone il principio che i singoli Stati con i loro cittadini sono chiamati a “rinunciare alla loro libertà sottomettendosi a pubbliche leggi costrittive e formando così uno Stato dei popoli (civitas gentium), che dovrà sempre crescere, per arrivare a comprendere finalmente tutti i popoli della Terra”. L’obiettivo ultimo, per Kant, affinché la guerra scompaia dalla faccia della terra, non era l’unità europea, ma la “globalizzazione” politica, fondata sulla morale, la cosiddetta “rivoluzione copernicana”, perché ne sono le fondamenta l’uomo e la sua ragione. Il dovere come imperativo categorico, assoluto, universale e necessario: “Devi perché devi”.
La norma espressa da Kant resta una verità imprescindibile. Una linea di condotta. In uno scritto del 1784, dal titolo “Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”, prima ancora dell’opuscolo “Per la pace perpetua”, pubblicato nel 1795, propone l’obiettivo di una società cosmopolitica, fondata sulla Costituzione universale. Progetto indispensabile da realizzare che Kant prefigura come “consolante prospettiva per il futuro… in cui il genere umano si sollevi proprio a quello stato in cui tutti i germi che la natura ha posto in esso siano pienamente sviluppati e la sua destinazione qui sulla Terra possa essere soddisfatta”.
Jacob Taubes, ebreo, ex-docente a Gerusalemme, ad Harvard e a Berlino, ha sostenuto che la chiave d’una corretta visione politica si trovi nelle lettere di San Paolo. “Nietzsche fu il mio migliore maestro per Paolo” ha affermato Taubes (“La teologia politica di San Paolo”). Quello stesso Nietzsche che, in “Anticristo”, definisce Paolo “tipo opposto alla buona novella, il genio in fatto di odio… un disangelista”. Ma nella “Seconda Lettera ai Tessalonicesi” (2,6) Paolo lancia una parola, misteriosa e sconvolgente, dal punto di vista politico: “katékon”, la forza frenante. Un “qualcuno” o “qualcosa” che eviti all’umanità di precipitare nel caos.
Per Carl Schmitt, che fu presidente dell’associazione dei giuristi tedeschi durante il regime nazista, processato e assolto dopo la caduta di Hitler, il “katékon” è la forza della Legge. Schmitt e Taubes vedono nella “Lettera ai Romani” di Paolo un attacco al Potere di Roma e ai suoi Cesari. Solo la Legge può assumere un rilievo dominante, perché solo la Legge può trattenere, frenare un Potere Assoluto. Sembra l’anticipo millenario delle carte costituzionali: la “Magna Charta libertatum” (1215), la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (1789), l’ONU (1945)… Massimo Cacciari, trattando di Schmitt, si sofferma sul tema del “katékon”, ritenendo che “Il potere che frena” (2013) può sempre trovare un compromesso mentre, a suo parere, i due poteri politico e religioso sono sempre con-fliggenti anche se inseparabili, ricorrendo perfino alla frase “Il papa deve smetterla di fare il katékon”.
La legge, sostiene Paolo, è come un pedagogo (Gal. 3,24), ma è la fede che va oltre la legge. Oltre la “lettera”, dal momento che l’alternativa al Potere, il vero contro-potere, è una Persona: Gesù Cristo, il “crocifisso”. Oltre la legge ci sono quei “martiri” che, sulla scia del Crocifisso, rappresentano la forza frenante contro l’Assolutismo. Un potere che suscita martiri è destinato a soccombere. Ma i politici responsabili di tali massacri non nascono dal nulla. Hitler e Mussolini godevano di immensi consensi, anche se la loro tragica fine faceva parte del conto.
La realtà attuale, con i segni che evidenzia, sembra il revival del fascismo. Non solo in Italia. Alla luce del fatto che il fascismo è soprattutto una concezione della vita e del mondo, come giustamente affermava Wilhelm Reich in “Psicologia di massa del fascismo”. Un’analisi di carattere psicologico che lo stesso autore affermava aver superato la prova del tempo. E tale resta oggi. Un libro pubblicato nel 1933 e sempre di grande attualità, perché non condanna aprioristicamente la realtà, ma cerca di interpretarla, di analizzarla, di spiegarne le motivazioni profonde. Un libro al quale si sono ispirati i maggiori sociologi e psicologi del ‘900. Per Reich “il fascismo, nella sua forma più pura, è la somma di tutte le reazioni irrazionali del carattere umano… una creazione dell’odio razziale e la sua espressione politicamente organizzata. Di conseguenza esiste un fascismo tedesco, italiano spagnolo, anglosassone…”
Hitler e Mussolini fecero uso sistematico della retorica e della propaganda, con le tecniche più avanzate della pubblicità. E le folle applaudivano. Oggi, con internet, twitter e facebook, i mezzi di comunicazione diventano armi nelle mani dei pochi e delle masse. Un coinvolgimento globale. Un potere al popolo che diventa schiavismo e viene chiamato populismo. In passato erano i plebisciti che davano al popolo la possibilità di esprimersi, mentre i dittatori di turno ne uscivano trionfatori. Sembra così spiegabile la famosa affermazione di Mussolini, pronunciata il 12 maggio 1928 al Senato: “L’unanimità più uno”. Oggi è il titolo di una ricerca storica, curata da Enzo Fimiani, che presenta un interessante e accurato excursus su plebisciti e potere. Una storia di vecchi e nuovi tempi. Una storia di ieri e di oggi.
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