Un’Italia senza anima nè civiltà


L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – Un vescovo che da oltre quarant’anni è impegnato nel sociale e uno scrittore cattolico, messi assieme, danno vita ad un libro che è il ritratto di un Paese che ha perso l’anima. “In cerca dell’anima. Dialogo su un’Italia che ha smarrito se stessa” è il titolo di questo lungo dialogo – quasi 300 pagine – tra Vincenzo Paglia (vescovo di Terni) e Franco Scaglia, che Piemme ha appena mandato nelle librerie. Vi si parla di individualità e di collettività, di nazionalismi e globalizzazione, di guerra e di pace, e dell’impegno dei singoli, che si manifesta in un fenomeno dai confini assai vasti come il volontariato. E poi si parla di Dio e di fede, e della funzione della Chiesa in un mondo carico di fermenti e lacerato da mille contraddizioni. Franco Scaglia e Vincenzo Paglia ci offrono un libro che invita a pensare, per capire dove stiamo andando e per ritrovare quell’”anima” che, come dice Paglia, in quanto collettività sembriamo aver perso. Ed è la questione dell’immigrazione e del lavoro, secondo il vescovo, la chiave di volta per comprendere l’Italia di oggi: capirla non per meditarci o per fare il buon samaritano (anche) ma, parafrasando Marx, per trasformarla. Un libro in cui, la dimensione spirituale e di fede non mancano nel computo delle analisi condotte, una fede, tuttavia e una spiritualità laiche, aperte alla ragione. Dice per esempio Paglia che la Chiesa non ha mai condannato Darwin e spiega, citando papa Benedetto, che senza l’alleanza tra ragione e fede non è possibile andare avanti. Che c’entrano gli immigrati? C’entrano. Intanto perché sono portatori di fedi altre da quella cattolica. Confrontarsi con quelle fedi e con quelle culture aiuta ad aprire i cuori e i cervelli: è un esercizio per sconfiggere la paura, e anche per tentare di “sbarazzarsi dei propri idoli”. Ma è anche un modo per progettare un futuro e per stabilire un’identità italiana che come riferimento principale ha la Costituzione. Dicono Paglia e Scaglia: l’Italia oggi è una specie di Disneyland, dove regna la finta realtà. La sua cifra è inerzia e pigrizia. La sua cultura è quella che Marc Augé, citato nel libro (assieme a Scalfari, al cardinal Martini, allo storico Crainz e al filosofo Benjamin) chiama “la dittatura del presente”. In Italia ci sono 2 milioni di persone che scrivono poesie ma un libro di versi vende in media 500 copie. Le élite hanno abdicato al loro ruolo, si sono dissolte, e chi governa (anche la cultura) si limita ad “amministrare il presente”. E per amministrarlo alimenta l’industria della paura, gioca sui sentimenti di xenofobia. Ed è in questo contesto che Paglia propone di trasformare il Paese, partendo dagli umili e dal Vangelo. Dice che “Gesù era un ebreo marginale”, e anche che “la Maddalena ha visto un ortolano, i discepoli un pescatore lungo il lago, i due di Emmaus un viandante più o meno sporco di terra e di sudore”. Il libro parla di un Cristo alla cui resurrezione nessuno ha assistito e formula una proposta sovversiva: tornare allo spirito del Vangelo, alla figura del Gesù forestiero, per scoprire concretamente, nella vita sociale che lo straniero è portatore di ricchezza. Un libro sullo stesso tema (ma sviluppato in modo più semplice e popolare) di quello di Il Libro dell’anima di Carlson Richarde Shield Benjamin, pubblicato nel 1997 da Spwerling & Kupfer. Una straordinaria, illuminante opera che intende esplorare e comprendere il significato dell’anima e il rapporto che ciascuno di noi intreccia con essa, nel contesto di un mondo sempre più meccanicistico e spesso svuotato di profonde motivazioni, in cui alla vita interiore è riservato sempre minore spazio. Mons. Paglia è, come detto, vescovo di Terni: luogo segnato dalla crisi, dalla deindustrializzazione, dall’impoverimento e, ancora, cofondadore ed animatore della Comunità di Sant’Egidio: luogo di accoglienza degli emarginati e degli immigrati. Quanto all’altro Autore, Vincenzo Paglia, oltre ad essere romanziere e produttore di film, è presidente di RaiCinema e si occupa da sempre del nostro immaginario. Il senso profondo del libro nelle parole del Monsignore: “’Chi vince, in qualunque modo abbia vinto, non prova mai vergogna, sicché la democrazia contemporanea è il regime politico del limite e della pluralità, un metodo prima che un contenuto” . Per questo il nostro Paese, che Scaglia, parafrasando Shakespeare, chiama l’Italia del nostro scontento, sembra sprofondato in una sorta di apatia, che lo rende apparentemente privo di ambizioni e disinteressato al futuro Intelligenti pauca.


08 Marzo 2010

Categoria : Cultura
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.