L’opinione – Italia, pasticci dentro e fuori
L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – “Il governo italiano deve rispondere del suo comportamento indecente nei confronti di Masoumi Nejad”, ha tuonato oggi 8 marzo il presidente del Parlamento iraniano Ali Larijani, ex capo negoziatore sul dossier nucleare, in relazione all’arresto di due giorni fa del corrispondente della televisione di Stato Irib, finito in manette con l’accusa di essere coinvolto in un traffico d’armi verso la Repubblica islamica. Masoumi, 51 anni, è una delle sette persone finite in manette (cinque italiani e due iraniani, due altri iraniani sono latitanti) nell’ambito dell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro. Il giornalista, secondo gli inquirenti, avrebbe trattato con un gruppo di imprenditori italiani “l’acquisto di materiale di armamento ‘dual usè: equipaggiamento civile che viene trasformato da chi lo utilizza in materiale bellico”. Ad inchiodare Masoumi, secondo la procura, sarebbero una serie di intercettazioni nelle quali il giornalista non avrebbe fatto mistero del suo ruolo di 007 e mediatore nel mercato delle armi. Già ieri il nostro Ministro degli Esteri Franco Frattini aveva dichiarato: “Respingo qualunque insinuazione iraniana sull’uso strumentale degli arresti da parte della magistratura italiana. L’Italia – si fonda sui principi dello Stato di diritto, la magistratura è indipendente dal governo”. “A tutti gli imputati – conclude Frattini – verrà garantito il diritto di difesa”. Situazione certo difficile, ma nulla rispetto a quando in queste ore il Governo e i massimi rappresentanti dello stato (anche il Presidente Napoletano), stanno vivendo a causa del cosiddetto ddl “salvavoto”. Non è piaciuta all’Idv né al “Popolo Viola” la firma “nella notte” del Presidente Giorgio Napoletano che ha ratificato il ddl del 5marzo 2010, inteso a fissare il principio secondo il quale chi si trova all’interno degli uffici elettorali del tribunale e può provarlo, ha diritto di presentare liste, norma escogitata d’urgenza dal Consiglio dei Ministri per riammettere la lista provinciale del Pdl a Roma. Il provvedimento, come ha voluto Napoletano dopo un lungo e difficile braccio di ferro con Berlusconi, è finalizzato “alla interpretazione autentica” delle norme per la presentazione dei candidati e non è, né vuole essere, uno sconvolgimento delle regole. Dopo una settimana di caos per l’esclusione della lista del Pdl in Lazio e del listino di Formigoni in Lombardia, il centrodestra è riuscito a uscire dall’impasse: il presidente della Repubblica ha firmato il decreto interpretativo presentato dal governo, che consente ai tribunali amministrativi di interpretare il regolamento in modo meno rigido, permettendo al Pdl di risolvere il pasticcio a poche settimane dal voto. A spiegare l’ok è stato lo stesso presidente della Repubblica, rispondendo a due lettere (pubblicate on line sul sito del Quirinale già sabato notte; vedi: http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Notizia&key=5550 ), una a favore del decreto e l’altra contraria, che esprimono le due opinioni predominanti nell’opinione pubblica. E mentre il Pd difende la scelta “necessaria” ed “equilibrata” del Capo dello Stato, Di Pietro ribadisce le proprie ragioni: “gli amici del Pd, a cominciare da Bersani e Letta, abbiano il coraggio di riconoscere che il Capo dello Stato ha avvallato con la sua firma un comportamento illegittimo e anticostituzionale del governo”. E continua che per questo: “diciamo che il Presidente della Repubblica non è stato arbitro, ma si è messo alla stregua del giocatore”. Oggi è prevista ì una riunione organizzativa per una manifestazione in piazza contro la scelta del Governo, che vedrà il Pd fuori se non si precisa che la stessa non dovrà essere contro il Capo dello Stato. “Sarebbe sbagliato dare occasione al centrodestra di nascondersi dietro al Quirinale”, ha detto Pier Luigi Bersani, rientrando ieri a Roma per la riunione serale del coordinamento del Pd. In piazza non scenderà neanche l’UDC. Pier Ferdinando Casini chiarisce: ”Non scendiamo in piazza per costume politico e istituzionale. Non polemizziamo con il capo dello Stato, ci inchiniamo come sempre al rispetto delle leggi anche quando ci sembra una pagina non bella della democrazia quella che si e’ disegnata”. Ma per l’Idv è necessario ‘capire bene’ il ruolo di Napolitano sulla riammissione delle liste dopo aver letto sui giornali ‘che avrebbe partecipato attivamente alla stesura del testo. Se così fosse – dice Di Pietro – sarebbe correo visto che, invece di fare l’arbitro, avrebbe collaborato per cambiare le regole del gioco mentre la partita era aperta”. Alcune indiscrezioni apparse sui quotidiani (ad esempio il Corriere del 7 marzo) relative ai colloqui tra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica ricostruiscono un clima molto aspro, in cui si è sfiorata la collisione istituzionale. La prima ipotesi avanzata da Berlusconi e scartata da Napolitano era quella di rinviare di quindici giorni la scadenza delle elezioni regionali del 28 e 29 marzo. Ieri Silvio Berlusconi ha parlato della vicenda del decreto in un collegamento telefonico nel corso di una manifestazione elettorale a Napoli: ”Anche questa volta gli elettori sono di fronte a una scelta di campo tra un governo e un Pdl che risolvono le emergenze e una sinistra che sa solo insultare e criticare”. Il premier invita il proprio elettorato a mobilitarsi: ”Se tornasse al governo la sinistra rimetterebbe l’Ici sulla prima casa, aumenterebbe dal 12.50% al 25% le tasse su Bot e Cct e introdurrebbe la patrimoniale, perché è in questo modo che vuole ridurre il deficit pubblico”. Infine, in mezzo a tanta scomposta confusione, anche un giallo ancora da chiarire circa il Vaticano. Monsignor Domenico Mogavero, responsabile della Conferenza episcopale per gli affari giuridici ai microfoni di Radio vaticana aveva detto: ”Cambiare le regole del gioco mentre il gioco è in corso è un atto altamente scorretto. La democrazia è una realtà fragile che ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata da norme, da regole, altrimenti non riusciamo più ad orientarci”. Dopo poche ore le dichiarazioni di Mogavero sono state i rettificate in una nota del portavoce della Conferenza episcopale italiana, monsignor Domenico Pompili: ”Le questioni di procedura elettorale hanno natura squisitamente tecnico-giuridica”, come dire che la Cei non si esprime né vuole esprimersi a riguardo. Ennio Flaiano (il nostro Flaiano) che il 6 marzo avrebbe compiuto 100 anni (e chissà cosa avrebbe escogitatati per una riccorenza in comune col centenario della festa delle donne), ha scritto, con grande capacità descrittiva: “In Italia, non esiste semplicemente la verità. Altri Paesi hanno una loro verità. Noi ne abbiamo infinite versioni”. E, fra queste verità opposte e molteplici, anche se di nessun interesse o importanza, diciamo anche la nostra. Il neonato decreto “ad listam”, “ad regionem” o “ad paninum” decritta la verità della legge in maniera ed è una vera fortuna, per noi, avere da un lato (come egli stesso ha dovuto riconoscertsi) il miglior presidente del consiglio della storia repubblicana; dall’altro il governo ed i costituzionalisti più capaci d’interpretare lo “spirito delle leggi” da Beccarla ai nostri giorni. In questa Italia gaddiana dei pasticci e pasticciacci, noi stiamo con Napoletano che, dopo mille interrogativi, ha scelto il male minore e la condizione che coprisse di minor ridicolo il già poco credibile Paese. Ha ragione chi afferma che mentre che i cittadini devono fare la fila per un concorso pubblico e devono rispettare le regole, i partiti, soprattutto il Pdl, passano davanti a tutti., senza nemmeno sentire il dovere di chiedere scusa agli italiani per i pasticci commessi e questo è davvero vergognoso. L’episodio della esclusione e poi del decreto forzato di riammissione “interpretata” è l’espressione di una degnerazione dilagante, fatta di regole scansate e non rispettate in nome di una forza che “viene dal popolo”. Come ha sostenuto Della loggia sul Corriere della Sera e Giuseppe De Tommaso su La Gazzetta del Mezzogiorno, il Presidente della Repubblica non poteva fare altrimenti. Se si fosse opposto alla soluzione salva-liste proposta dal governo si sarebbe scatenato un conflitto istituzionale dalle conseguenze imprevedibili. E siccome il Capo dello Stato tutto può e deve augurarsi tranne che la paralisi tra i poteri, il pasticcio lombardo-laziale non poteva che finire così: recuperando le liste del centrodestra per evitare che sul voto regionale del 28-29 marzo pesasse l’ombra dell’esito falsato e della recriminazione permanente. Attenzione, però. Tutto ciò non assolve gli artefici dei pasticci perpetrati a Roma e Milano; perché se è vero che l’Italia è la patria del perdono e del condono, fino a quando le leggi e le regole rimangono in vigore, a nessuno è consentito trattarle alla stregua di consigli o, peggio ancora, di ignorarle e beffarle. Silvio Berlusconi, dopo le Regionali di questo mese, farebbe bene a destituire i responsabili della farsa laziale-lombarda che, a un certo punto, stava assumendo i colori della tragedia non soltanto per la causa e la tifoseria del centrodestra, ma anche per lo stesso principio della rappresentanza democratica. In chiusura, questo episodio da “dilettanti allo sbaraglio” e l’atteggiamento di Di Pietro ed altri dell’opposizione, ci dicono quanta confusione ed approssimazione regnino nelle file della politica italiana, di destra e di sinistra. Dando per scontato che, per il poco edificante quadro politico, l’Italia avrebbe urgente bisogno, oltre che delle riforme, anche di un salutare ricambio della classe dirigente, onestamente con crediamo vi siano sufficienti garanzie in tal senso, con una opposizione così scombinata e così ipoco incline a ragionare.
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