Una montagna di rifiuti sanitari
Atessa – In arrivo ad Atessa un impianto che tratterà rifiuti sanitari a rischio infettivo per 20.000 ton/anno potenziali. La regione Abruzzo ne produce 4.000. Lo stabilimento vicino ad abitazioni e a un Sito di Interesse Comunitario -
WWF, Legambiente e il Comitato “Noi Messi da Parte” hanno presentato questa mattina in una conferenza stampa a Pescara le proprie osservazioni in opposizione al progetto della ditta Di Nizio Eugenio s.r.l. per la realizzazione ad Atessa di un impianto per il trattamento di rifiuti sanitari a rischio infettivo mediante sterilizzazione. Si tratta di un impianto di notevoli potenzialità visto che prevede il trattamento di ben 20.000 tonnellate l’anno potenziali, a fronte delle 4000 t/a prodotte in Abruzzo. Una capacità più che quadrupla rispetto alle esigenze regionali che lascia aperta ogni ipotesi sulla possibile futura importazione in Val di Sangro di rifiuti sanitari a rischio infettivo da altri territori. In ogni caso il progetto, grazie alla capacità dell’impianto a disposizione, ipotizza di allargare l’interesse anche a rifiuti di altro genere: 4.500 tonnellate anno di rifiuti pericolosi, e 10.500 tonnellate anno di rifiuti non pericolosi.
Tutto questo nonostante a ridosso dello stabilimento, anche a poche decine di metri, siano presenti abitazioni civili, bar e negozi; a poco più di un chilometro c’è invece il SIC (Sito di Interesse Comunitario) Bosco di Mozzagrogna. Anche se la Di Nizio Eugenio s.r.l., come essa stessa asserisce, è leader nel panorama nazionale circa la gestione di rifiuti provenienti da attività ambulatoriali e ospedaliere, non può in alcun modo cancellare le inevitabili ripercussioni che si avranno sul territorio. E in ogni caso – sottolineano le associazioni – resta di difficile comprensione la scelta di aprire anche ad altre tipologie di rifiuti.
Sembra ormai – hanno sottolineato Legambiente, WWF e “Noi Messi da Parte” – una costante abruzzese, quella che vede proporre nel territorio regionale quasi esclusivamente realtà produttive che comportano un certo e spesso notevole impatto ambientale, in special modo in relazione con quanto attiene alla gestione dei rifiuti e alla loro trasformazione. Attività queste che vanno inevitabilmente a interfacciarsi negativamente con la biodiversità di interi ecosistemi e quindi con la salute umana.
Le associazioni hanno respinto a priori ogni possibile riferimento alla cosiddetta sindrome di Nimby (acronimo inglese per Not In My Back Yard = non nel mio cortile) in base alla quale ci si opporrebbe a ogni impianto a prescindere dalla sua reale pericolosità. Il problema nasce dalla scelta tutta italiana in base alla quale invece di accorpare i siti industriali in aree ben circoscritte, sono stati sparpagliati polverizzandoli dappertutto, comportando non solo costi stratosferici per la collettività per via delle infrastrutture, ma anche un consumo del suolo ingiustificabile che ha impoverito, reso più fragili e quindi più pericolosi tantissimi territori in Italia e creato infinite situazioni di difficile convivenza. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una distruzione sistematica del paesaggio, e a situazioni crescenti di disagio e conflitto tra centri abitati e siti industriali, perché in natura, per forza di cose, siamo tutti connessi.
Entrando nel dettaglio delle osservazioni, le associazioni hanno fatto notare che la nuova legge regionale sui rifiuti, la n.5 del 2018, asserisce chiaramente che sino a 2 chilometri di distanza dal perimetro di un Sito di Interesse Comunitario, la VINCA – Valutazione di Incidenza -, è uno strumento necessario per questo genere di impianti. Hanno anche richiamato la Seveso III: “Ci chiediamo – hanno dichiarato – se la proponente ignora che la gestione dei rifiuti rientra nell’ambito di applicazione di questa norma o pensa di poterla ignorare solo per aver fissato dei limiti massimi di rifiuti stoccabili?”
“Noi Messi da Parte” WWF e Legambiente hanno fatto infine notare che la vicinanza di case sparse, più di 20 abitazioni entro un raggio di 500 metri a partire da una vicinanza di 30 metri, rappresentano un fattore che, ai sensi dell’All.1 della L.R. 45/2007 diventa escludente, come lo stesso TAR di Pescara ha ribadito nel 2010.
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