Lettere – La morte del Cinema Massimo… e quella della cittÃ
L’Aquila – Scrive Franco Taccia: “Un’inchiesta di Repubblica, di qualche anno fa, portava il titolo “L’Aquila rinasce senza futuro”. Ci sarebbero tante considerazioni da fare al riguardo e nessuna valutazione positiva su tutto ciò che è stato fatto dopo il terremoto,
Si è fatta passare per ricostruzione un’attività frenetica che ha avuto sin dal primo istante il solo scopo di spalmare dovunque cemento e mattoni, mattoni e cemento, avviata con lo sfregio a tutto il territorio realizzato con i casermoni detti Progetto Case, realizzati talmente bene da far venire lo sconforto al solo parlarne, con balconi crollati, infiltrazioni ecc. Contemporaneamente, scientificamente sono state deportate le scuole (con i giovani che le frequentano), sono scomparse le Poste dal centro insieme a banche e uffici di ogni tipo. La ricostruzione del Teatro Comunale, della storica De Amicis, il rispristino del ponte belvedere, tutto a carissimo amico. In compenso si è spacciata per rinascita l’apertura di decine di bar, vinerie, paninerie, senza nessuna logica di distribuzione sul territorio. L’Aquila era un insieme di luoghi dove si svolgeva la vita quotidiana, le attività scolastiche, lavorative, lo struscio, il commercio, per non parlare del mercato. Ora la gente grazie a tutti i geni, pagati, che hanno partecipato alla baraonda è diventata un’accozzaglia di spazi dove la gente spreca la propria vita. Da subito a sovrintendere alla ricostruzione avrebbero dovuto esser chiamati urbanisti e persone preparate culturalmente alla ricostruzione “sociale”. Nulla di tutto questo e il risultato, pessimo, è davanti gli occhi di tutti.
A peggiorare la situazione, ammesso servisse, ci si è messa la corsa a sistemare ed abbellire il “proprio pollaio”, incapaci di avere una visione generale dell’insieme che permettesse un minimo di armonia tra contesti diversi ma tra loro legati. Una sorta di navigazione a vista con nocchieri che non hanno mai visto una barca in vita loro.
Desidero chiudere accennando ad un altro problema, strettamente legato al caos generale ed all’incapacità di molti.
Si sta discutendo da anni sul modo più appropriato per ricordare chi non c’è più. Parchi, fontane, sculture, di tutto e di più.
Una cosa però sembra sfuggita a molti. Il modo migliore per ricordare chi è morto avrebbe dovuto essere quello di rendere la città dove le Vittime vivevano, abitavano, lavoravano, studiavano, giocavano, bella come prima, come la vedevano Loro e la vedevamo noi, migliorandola come si sarebbe dovuto fare da tempo e rendendola più accogliente, pulita, degna di essere “vissuta”.
La non riapertura del cinema Massimo è l’ennesimo capitolo di un libro bruttissimo.
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