Quando monsignore è troppo occupato: due pastori, due sedi, nessuna risposta
L’Aquila – La professoressa Maria Pia Fucetola ci scrive: “Gentile Direttore, prima di schiacciare Del, dopo aver a lungo pensato e avendo più volte letto tra le righe dei suoi editoriali un amore dolorante, a volte disperato, per la nostra città (sentimenti che condivido tutti), decido di condividere con lei anche questa mia amarezza. Schiacci lei Del se lo riterrà opportuno, tanto un Del in più non cambierà la nostra vita. Le riassumo in breve i fatti: alcuni giorni prima dell’investitura del nuovo Vescovo D’Ercole (inizio dicembre 2009), gli ho inviato presso la curia aquilana, per posta ordinaria, la lettera che allego.
Il giorno di S. Giovanni Bosco (31 gennaio 2010), dopo la messa, mi presento al vescovo D’Ercole: “Sono io che le ho scritto, per amore verso la mia città”. Risposta: “Cosa mi chiedeva, non le hanno risposto?”. (Chi avrebbe dovuto rispondere se la lettera era per lui?). “Eccellenza non le chiedevo nulla, le offrivo un piccolissimo contributo per aiutare la città ad uscire dal coma prima che diventi irreversibile”. Mi chiedo: quanti aquilani ai primi di dicembre possono aver scritto una lettera di questo tenore ad un Vescovo appena arrivato? Chi apre la sua posta cestina quella che non ritiene degna di lettura?
Ora abbiamo due Pastori, due residenze, due segreterie, due tutto. Risultato: noi siamo due volte pecore smarrite, ma nessuno viene a cercarci. Direttore , se condivide il contenuto della mia lettera, se ritiene che sia di qualche utilità, e se sa di avere tra i suoi lettori anche i porporati, le chiedo di fare il postino. Con stima e cordialità”.
Per completezza, pubblichiamo anche la lettera inviata a mons. D’Ercole:
“Monsignore, da quando ho saputo della Sua nomina, non so se invocata o determinata (ma questo poco importa), ho in testa di scriverLe due pensieri. È vero, da un lato, de minimis non curat praetor, ma è anche vero che Cristo ha ascoltato tutti, e che talvolta basta un bambino arrampicato su un albero a far scoprire che il re è nudo.
Fuor da ogni ulteriore premessa, credo che la Chiesa aquilana abbia bisogno, al momento, sì di ricostruire le sue chiese monumentali, ma soprattutto abbia il dovere di esprimere premurose azioni si supplenza, così come nella sua storia la Chiesa ha fatto con gli ospedali, con le scuole, con i monti di pietà, con le case del pellegrino, con gli orfanotrofi e con molto altro ancora. Ha supplito i vuoti della società.
Credo che a L’Aquila, nei prossimi mesi, la Chiesa debba far sentire la sua presenza anche attraverso azioni umanissime.
Quali sono, a mio modo di vedere, alcune occasioni di supplenza:
- essere voce di chi non ha voce anche di fronte ad una burocrazia arrogante e disumana
- essere pungolo della classe politica (che molto chiacchiera e poco progetta)
- raggiungere una quantità di ragazzi centrifugati, con le loro famiglie, in luoghi e situazioni diverse e offrire loro spazi per studiare, per stare insieme, per diventare civis
- pensare a come aiutare i vecchi che il terremoto ha risparmiato, ma che sono dissociati, infelici, stipati in case di riposo, quietati talvolta a suon di tranquillanti, forzatamente distanti dalle famiglie vessate da pendolarismo, incertezze dovute al “dove sarò?”, ”ce la farò a ricominciare da capo?”.
In una parola, credo che la nostra città dovrà diventare, per la Chiesa, terra di missione.
Penso alla Chiesa polacca nei primi anni del Pontificato di Giovanni Paolo II.
Penso ad una suora mia amica che vive in Congo, che compera macchine da cucire, arnesi da falegname, zappe per l’orto. E’ forse necessario essere cristiana, suora e missionaria per comprare una zappa? Sappiamo la risposta.
Chi sono? Una cristiana poco osservante, 64 anni, pensionata, con infinite amarezze in archivio, con una fiducia totale nella forza della parola (meglio se di tanti e condivisa) e con la convinzione che ciascuno di noi deve fare quel pochissimo che può.
Non ha senso ricostruire prima le case e poi pensare al resto. Se sarà così, poi non ci sarà più chi avrà attitudine e voglia di pensare. Oltre al mio nome e cognome, Monsignore, non posso darLe al momento alcun recapito finché non tornerò a casa. Quando?
Ho solo un numero telefonico, che Le scrivo non perché debba servirsene, ma per completezza.
La ringrazio per la bontà di aver dedicato un po’ della Sua attenzione a questo mio scritto”.
(Ndr) – Gentile signora, possiamo solo dirle che alla sua lettera noi – al posto del vescovo – avremmo risposto, per il bel contenuto e per il suo valore umano, educativo, sentimentale. Di questi tempi… Forse monsignore aveva altro da pensare, oppure la sua segreteria non gli ha nemmeno sottoposto la lettera. Mettiamola così. Oppure due pastori non bastano? Infine, una cosina: quando le persone ci scrivono, non schiacciamo mai “del”: per principio. Questo è un giornale libero, ma davvero libero.
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