Il cuore di Monica in un libro


L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – La storia di una donna resa un’attrice, quand’era bambina, dall’imprinting del grande Giorgio Strehler che la volle nel ruolo di Anja in una memorabile messa in scena del “Giardino dei ciliegi”. La Guerritore (attrice ben nota al pubblico teatrale aquilano e abruzzese) si racconta con gran ritmo narrativo: gli aneddoti divertenti alternati alle riflessioni intime. E racconta di intelligenze diverse, quella femminile e quella maschile, la sofferta delusione d’amore per Giancarlo Giannini e la meditata vendetta. L’incontro di lavoro e di passione con Gabriele Lavia che la rende madre, compagna, quasi alter ego e la separazione dolorosa come cammino faticoso della riscoperta di sé. La scrittura rilancia verso nuovi mondi interiori. Monica Guerritore ci sa parlare della bellezza femminile come di qualcosa in continua evoluzione, suscettibile di cambiamento e non per questo meno attraente. E di come siano molti i fattori che fanno di una donna una bella donna: il fascino, la forza, la cultura, il talento. Il volto non è mai un volto in generale, è il volto di qualcuno che porta su di sé i segni della singolarità, del tempo che passa, delle emozioni vissute, dei dolori, delle gioie. Compresa la malattia. La Guerritore racconta che la si può battere, anche se grave come un tumore al seno, e parla delle scelte che hanno fatto di lei quello che è oggi. Una carriera costellata di ”passione” e nella quale la bellezza ha avuto il suo peso, una bellezza non statica ed anzi in continuo mutamento. Oggi, a 52 anni appena compiuti, ancora bellissima (tanto da posare senza veli per Vanity Fair due anni fa, vedi: http://www.tgcom.mediaset.it/spettacolo/articoli/articolo425288.shtml), Monica continua col suo grande amore: il teatro. E a suggellarne la raggiunta maturità, la pace fatta con Lavia, con cui torna a recitare, in “Danza di morte” di Strindberg. Era quattordici anni che non calcavano insieme le assi di un palcoscenico, da quando la loro storia d’amore era finita in frantumi. Nel libro (“La forza del cuore”, Mondatori, in libreria dal mese scorso), la bella Monica racconta tutto di se al suo pubblico, con l’unica chiave invocata dall’opera, quella della sincerità. ”La mia professione – scrive – esige di mostrare di volta in volta una verità parziale. Un corpo, un volto, uno sguardo, qualche breve accenno ai propri sentimenti. Tutto rapido, fugace e poi si passa ad altro. Non ho voluto dare luce a me stessa. Ho cercato di fare luce dentro me stessa. Ho voluto scrivere del diventare ‘persona”’. Al cinema esordisce con De Sica nel 1973: una piccola parte nel film “Una Breve Vacanza” ed è protagonista, nel 1984, del film di Samperi “Fotografando Patrizia”, dando gran prova di se e del suo talento ne “La lupa” di Gabriele Lavia, 12 anni dopo. Due anni fa interpreta (da premio) Mara, l’insegnate sola e delusa del film di Ospetek “Il giorno Perfetto”, mentre lo scorso anno ha girato due pellicole: “La fabbrica dei tedeschi” e “La belle gente”. Dice che il cinema non l’ha “mai davvero voluta” e forse ha ragione, anche perchè è teatrale e, al cinema, risulta spesso solo bella e come del tutto svuotata. Ora vorrebbe essere chiamata sul set da Garrone o Virzì, Silvio Soldini o Paolo Sorrentino: registi che sanno valorizzare appieno la recitazione, andando dentro e dietro le semplici apparenze. Io la ricordo soprattutto in televisione, protagonista della “Manon Lescaut” di Sandro Bolchi (primo sceneggiato a colori della nostra Rai) e, in teatro, 5 anni fa, regista ed interprete sublime de la “Giovanna D’Arco”, ritratto di una Santa che è donna, eterodossa e dalla complessa spiritualità. In un mio film ideale (che naturalmente resta un gioco e un sogno), è “Carmilla”, la splendida Vampira di Sheridan Le Fanu, figura, ricca di fascino e sensualità, personalità complessa e sfuggente, più simile a una ninfa dei boschi che a un vampiro, in contesti gotici, crepuscolari e melanconici.


02 Marzo 2010

Categoria : Cultura
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