Sepolturaa età bronozo con corredi e gioielli
Pizzoli – Era una ragazza, adolescente o di giovane età, certamente appartenente ad una famiglia di notabili, forse principi, a giudicare dalla ricchezza del corredo funebre e dalla monumentalità della sepoltura. Questi ed altri indizi raccontano le storie e i dettagli della vita e della morte della giovane, in cui resti giacevano nel monumento sepolcrale rinvenuto e scavato nelle scorse settimane a Pizzoli durante i lavori d’installazione di un nuovo tratto di condotta idrica in località Scentelle, nei pressi del cimitero, tra la Strada Statale Picente e la Comunale per il Centro di Pizzoli.
Il monumento sepolcrale a pianta circolare – inquadrabile cronologicamente tra la fase recente della prima età del Ferro e l’età Orientalizzante (prima metà dell’VIII sec. a.C.) – è del tipo “a tumulo”, di pietre a secco,con un diametro di circa sei metri. L’anello esterno, con accezione fortemente simbolica, è costituito da un margine (“crepidine”) realizzato con porzioni rocciose disposte di taglio,a contenere la collinetta artificiale che custodiva la sepoltura.
La giovane defunta, di età presumibilmente compresa tra dodici e sedici anni,era distesa, con le braccia distese lungo i fianchi, appena rilassate sul ventre. Il corpo della ragazza era protetto da un tavolato ligneo, andato perduto, che lo isolava e proteggeva, mentre il tumulo di pietre costituivala struttura interna del monumento, che doveva essere ricoperto da uno strato di terreno vegetale a formare una collinetta dell’altezza di circa m 1,20-1,50 delimitata alla base dal bianco circolo di pietre della crepidine.
L’appartenenza della ragazza ad una famiglia certamente “di rango” è comprovata dalla splendida parure con ornamenti e fibule di bronzo, pendagli spiraliformi e giri di collana con perline di ambra, mentre sul fianco sinistro era deposta una fusaiola esagonale di terracotta, tipico attributo di femminilità legato alle attività e al culto domestico.Ai piedi il corredo ceramico, composto di un’unica scodella d’impasto, recuperata in frammenti, mentre ulteriori indizi restituiscono le caratteristiche dell’abito e degli accessori.
La parurecomprendeva due grandi fibule di bronzo con staffa a disco: una a motivo spiraliforme, fermava il drappeggio delle vesti sulla spalla sinistra; l’altra,posizionata sul petto, con il doppio motivo del triplice cerchio concentrico inciso, qualificava il corredo personale con un grande anello di sospensione e pendagli sempre di bronzo. Sul ventre, a concludere la parure sul pettorale, due probabili pendagli di bronzo, del tipo spiraliforme a fascetta.
Anellini di bronzo disposti in maniera ordinata e simmetrica sul petto, fermati sul vestito a partire dalla testa verso il bacino, descrivono una vestizione da parata con velo copricapo. La stoffa dell’abito, probabilmente lana, a giudicare dalle impronte dell’orditura sulle tracce di organico, poteva essere arricchita da elementi o decorazioni in lamina di cuoio e lacci, a stringere e fermare attraverso i numerosi anellini di bronzo rinvenuti in posizione funzionale.
La scoperta è stata effettuata durante la sorveglianza archeologica degli scavi di alloggiamento dell’acquedotto condotti dalla Gran Sasso Acqua S.p.A. Lo scavo archeologico, eseguitosotto le direzione della Soprintendenza per L’Aquila e crateredal 5 al 7luglio 2017, è stato condotto dal funzionario archeologo responsabile Vincenzo Torrieri con gli archeologi esterni Daniela Moscianesee Maria Gaudieri incaricati dalla committenza ai fini della sorveglianza dei lavori di scavo per l’installazione dell’acquedotto. Il restauro del corredo funerario è stato affidato al laboratorio aquilano MiMarc, di A. Mignemi, con oneri sostenuti dalla società Gran Sasso Acqua.
Il recupero di un corredo funerario così importante si aggiunge a quanto già rinvenuto nelle immediate vicinanze nel 2009-2010, una straordinaria fibula di bronzo di grandi dimensioni, narrante un corteo rituale di un individuo di rango dell’etnia sabina, certamente un “capo”, di questo straordinario luogo: crocevia strategico di confine tra Sabini, Vestini e Pretuzi, ai piedi del valico appenninico che collegava i Popoli Tirrenici a quelli Adriatici.
“Questi luoghi continuano a riservare inattese sorprese in ogni situazione, in ogni occasione in cui i lavori pubblici o privati investano il sottosuolo, anche a minime profondità. E’ la conferma della necessità di mantenere sempre e dovunque la massima attenzione, rispettando tutti gli obblighi di legge fissati dal Codice degli appalti in materia di archeologia preventiva e, soprattutto, affiancando sempre ai lavori le doverose attività di indagine, ricerca e studio attento.” afferma la Soprintendente Alessandra Vittorini “Il territorio dell’Aquila ha radici e frequentazioni antiche di cui restano pregevoli testimonianze, su cui a volte camminiamo ignari. Segni di un passato da riscoprire, tutelare, conoscere e valorizzare.”
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