E’ difficile essere ottimisti
L’Aquila – (di Gianfranco Giustizieri) – La bufera giudiziaria che si è scatenata a seguito di comitati d’affari più o meno occulti, il riso di iene su di una città morente, i lutti e la disperazione che non potranno essere mai dimenticati, il ciarlare vano di molti che “sanno” ed ai fatti antepongono le parole, le enormi difficoltà di una città che non riesce a riprendersi, la mancanza totale di un orientamento programmatico verso un possibile futuro, l’assenza o l’approssimazione delle risposte che riguardano il centro storico quasi distrutto ed ora flagellato da un tempo inclemente che non risparmia i nostri beni più preziosi, la paura per una terra che non smette di tremare ed altro ancora, ci pongono di fronte ad un interrogativo: “Come essere ottimisti?”.
Domenica 14 ero in Piazza per manifestare il mio sdegno, credevo di trovare una folla di persone, la giusta reazione di una città colpita, ma ciò non è stato, non ho partecipato “all’occupazione” di Piazza Palazzo, perché mi sono fermato a guardarmi intorno ed a chiedermi ancora: “Come essere ottimisti?”.
La cronaca successiva di cittadini esasperati, di transenne violate, di gesti simbolici, di macerie non rimosse, mi ha riproposto: “Come essere ottimisti?”.
Ma la città dispersa, la gente sulla costa che consuma la propria vita in un viaggio continuo, le migliaia di persone che hanno trovato riparo nei nuovi villaggi, gli anziani che hanno perso ogni punto di riferimento sicuro, i giovanissimi dei centri commerciali che trovano lì nuovi spazi di aggregazione, sono ottimisti? Come sta reagendo la città che non si sente, la città che non urla, la città che ha riconquistato un proprio quotidiano più ristretto?
Non sono uno psichiatra o uno psicologo, ma i traumi dell’evento mi sembrano sempre più manifesti. Ho paura dell’assuefazione, dell’adattamento come scelta di vita, del proprio angolo come unico rifugio, della sola dimensione personale di fronte ad una socialità stracciata, di scelte che non si fanno, della voglia di spettacoli mediali dove ogni identità sociale si perde.
Chi riuscirà a dare le risposte alle cinque semplici domande che Giustino Parisse ha rivolto dalle colonne del Centro?
Ho voglia di una vita che mi dia speranza, di uno sguardo lontano che mi dia certezze, di un percorso da intraprendere per una nuova socialità, di persone che diano risposte per i miei angoli da ricostruire.
Sono pronto a fare la mia piccola parte, ma ciò che in questi giorni emerge non mi aiuta.
Quando dovrò aspettare per vedere la mia città ricominciare, le macerie portate via, i cantieri lavorare, le regole da dare e da rispettare, la vita sociale riprendere, la giusta fiducia nelle Istituzioni e nelle forze produttive ed imprenditoriali riconquistare la scena?
Attendiamo tutti delle risposte.
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