Con il groppo in gola, tra macerie e rifiuti


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – Torniamo a rivedere la città, perché sappiamo che sono state riaperte alcune strade. A piedi, in solitudine, fotocamera pronta, per un rapporto silenzioso e diretto con quello che fu il nostro passato, e quello di tanti altri. Groppo in gola, come altre volte. Passi perduti nel silenzio, sotto la pioggia: rivedere L’Aquila ci sembra un dovere morale. Non gli aquilani, perché nelle vie desolate non c’è anima viva, se non qualche amico gatto. Dagli occhi enigmatici e luminosi come quelli di tutti i felini. A questa solitudine, però, non è abituato neppure un gatto.
La città è macerie e anche rifiuti. Difficile capire come si possano riaprire delle strade, ridarle alla gente, lasciandole come immondezzai, come letamai.

Forse prima questa assente azienda ASM avrebbe dovuto e potuto pulirle. Non s’è mai visto che si inviti qualcuno, senza offrirgli neppure un po’ di decoro. Ma alla ASM il decoro non lo tengono in conto. Cassonetti stracolmi da giorni e giorni, rottami, foglie marcite dall’autunno, legname, ferro arrugginito, recinti abbattuti, varchi mille volte violati, resti di intimità domestiche sminuzzate abbandonati nelle strade; sanitari cambiati e gettati in strada. Certo, gente poco civile, ma servizio di pulizia inesistente.
Di fronte alla casa dello studente, sgombero macerie: lo eseguono i vigili del fuoco, e se non era per loro…
Poi scende la sera, e si accendono poche luci. Quasi tutte spente, intere strade lasciate alle tenebre. Nessuno sa capire perché la città non sia illuminata: male, come prima, come nell’altra vita, ma illuminata. Invece no. Neppure le rotatorie lo sono a dovere: quella di Ghignano è anche molto pericolosa, perché mai finita e senza lampioni.

Percorriamo dei vicoli presso San Pietro, tutto viale Giovanni XXIII: riaperto, ma senza un segnale che dica che è ancora una strada senza uscita. Il ponte di Belvedere è sbarrato. La parte anteriore del Duca degli Abruzzi non esiste più. Accanto all’ingresso del centro congressi, che è attivo, montagne di pattume non ritirato. Nessuno cammina nelle strade che ricordano i film di fantascienza sulle fughe da New York. Proprio nessuno, solo pochi che vagano in auto per vedere cosa c’è rimasto. L’incuria, l’abbandono, la sporcizia stanno distruggendo quel poco che resta. Il groppo in gola non passa. Non ci si abitua alla morte, come diceva un vecchio coriaceo navigato cronista di nera, che se n’è andato tanti anni fa. Aveva il cuore incallito da morti e assassinati, ma forse – al nostro posto, oggi, qui – avrebbe anche lui poca voglia di scherzare, così, tanto per scacciare il magone. Sicuro: non ci si abitua neppure alla morte di una città che viveva, bene o male, da sette secoli tra un terremoto e quello appresso.


18 Febbraio 2010

Categoria : Cronaca
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