Le dimissioni convengono a Bertolaso
L’Aquila – (L’opinione di Carlo Di Stanislao) – Quattro gli arresti per gli appalti alla Maddalena in vista del vertice poi dirottato sull’Aquila: oltre ad Angelo Calducci (l’uomo del “sistema gelatinoso”, presidente del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici e braccio destro negli appalti di Guido Bertolaso), l’imprenditore romano Diego Anemone, Fabio De Santis, provveditore alle opere pubbliche della Toscana e Mauro Della Giovampaola, funzionario del Ministero. Quanto a Bertolaso è solo indagato ed ha incassato, da subito e senza limitazioni, il sostegno di Letta, Berlusconi e di tutto il Governo, oltre ad un coro oceanico di sostenitori che lo considerano “non colpevole” e lo invitano a resistere e restare. Invece noi, pur nella convinzione della sua innocenza, gli consigliamo di dimettersi e di non attendere le decisioni di Berlusconi, circa la revoca del suo mandato. E non perché lo chiedono (dal 13 febbraio) con toni diversi Bersani, Pier Ferdinando Casini e l’IDV, e neanche per la nota diramata oggi di Sinistra Ecologia e Libertà; ma perché da vero servitore dello Stato, egli deve garantire una procedura equa, che lo scagioni senza che occupi ruoli di potere. Insomma, consigliamo a Bertolaso di dimettersi poiché, anche se sul piano personale sarà la magistratura a determinarne i gradi di responsabilità, si è di fatto creata una situazione oggettiva che non consente un buon governo della protezione civile, in tranquillità e serenità, quando, di fatto e nei fatti, l’Italia di questo a bisogno: noi aquilani scippati anche della dignità; quelli di Messina, con smottamenti ancora in corso e quelli di Viareggio, con un quartiere esploso molti mesi fa e tutto da ricostruire. Sono d’accordo con Maurizio Blondet che, rispondendo ad un lettore sulle pagine di EFFEDIEFFEFREE , afferma che Bertolaso è solo la vittima di una situazione che ha fatto della protezione civile l’organo preferito per sfogare le euforiche e costose mattane di un Capo del Governo che vuole rapidità e privatezza, esponendo chiunque lavori in questi ambiti a decisioni rapide e spese senza controllo e, ancora, appalti senza pubblico concorso. Inoltre, proprio per volontà di Berlusconi, tutto si è trasformato in emergenza, anche ciò che non lo è, oggettivamente non lo è: come il vertice internazionale alla Maddalena, poi spostato all’Aquila; che certamente poteva essere gestito in modo e da organizzazioni differenti. Ed anche se ora Letta fa marcia indietro sulla volontà, tramite decreto e fiducia, del Governo di creare una Protezione Civile SpA, sottraendosi ad ogni controllo pubblico anche minimo; resta il marcio e la stortura del sistema. L’emergenza richiede davvero velocità d’intervento e realizzazione e un organismo statale sarebbe paralizzato dalla nota burocrazia nei suoi incredibili livelli di cretinismo (piani comunali, regionali, belle arti, ecc. come ben sappiamo noi aquilani); ma il problema è trasformare ogni cosa in emergenza, in un’Italia che sembra ormai solo corrotta e fuori da ogni controllo. Le intercettazioni sono tutte lì, a documentare una familiarità imbarazzante tra un altissimo dirigente dello Stato, uno che maneggia quasi un miliardo di euro in appalti “emergenziali” nel giro di 18 mesi e il giovane rampante Anemone e fanno scoprire, ancora, che le mogli dei due erano in società. Sono più che certo, invece (o forse me lo auguro, da italiano che ancora vuole e deve credere a certi uomini e certe Istituzioni), che sulle intercettazioni riguardanti Bertolaso, la magistratura si accorgerà di avere, ancora una volta, gettato alle ortiche la sua credibilità morale, col suo settarismo e fanatismo anti-berlusconiano. Ma sono altrettanto certo che Bertolaso, ora, debba fare un passo indietro e consentire una ricerca senza ombre di inquinamento. Se non si dimettesse e fosse condannato, cosa che davvero non credo, i tre quarti dei cittadini continueranno a pensare che i giudici hanno massacrato un innocente, anzi un benemerito; così come ora pensano sia stata una vittima sacrificale quel Del Turco, governatore del nostro Abruzzo, inchiodato da telefonate e da accuse che oggi si rivelano infondate. Ma la restante e non sparuta minoranza, avrebbe dubbi molto difficili, poi, da fugare. Non stupisce che, nell’epoca della “crisi del reale”, i funzionari della menzogna vogliano convertire questo imbroglio di corruzione pubblica – e umana desolazione – in un episodio di patta e spada (come ha scritto su “Repubblica” Giuseppe D’Avanzo) con l’usuale appendice di donne deprezzate a benefit e “bustarella”. Gli addetti all’adulterazione del discorso pubblico vogliono ridurre l’intera trama alla replica di uno slogan ideologico: il privato non è pubblico, quindi non può essere giudicato. Il segno di quest’affaire non è nella segretezza dei comportamenti privati dei protagonisti, ma – al contrario – nella scandalosa pubblicità dei loro traffici pubblici. Bene, spero che, dimettendosi, Bertolaso si tiri fuori da questo vergognoso imbroglio ideologico e morale. Qualcuno dice, invece, che Bertolaso deve restare, perché è di fatto insostituibile e possiede forti argomenti in sua difesa. Il primo è che qualcuno può aver tradito la sua fiducia; il secondo e che non ha seguito direttamente e personalmente la vicenda degli appalti; l’ultimo affidato alla dichiarazione: “ha gestito tutto Angelo Balducci, uno che è diventato presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, cioè la massima autorità in Italia: non mi pare di aver affidato l’incarico al primo che passava per strada. Dopo di lui, c’è stato un altro “soggetto attuatore” (Fabio De Santis, anch’egli in carcere) ma c’era qualcosa che non mi convinceva e l’ho sostituito con Gian Michele Calvi, un professore di fama internazionale”. Così facendo Berolaso si chiama fuori dalla corruzione e dalla cattiva gestione, ma resta il fatto che non poteva non sapere e comunque avrebbe dovuto controllare. Controllare, ad esempio proprio Gian Michele Calvi (che insegna al dipartimento di Meccanica strutturale dell’Università di Pavia e dopo essere stato “attuatore” alla Maddalena, oggi è il direttore del progetto C. A. S. E.: 183 edifici, 4.600 appartamenti per 17mila persone con appalti per 695 milioni di euro), anch’egli prigioniero di un temperamento familistico, dal momento che è del fratello Gian Luca La “Myrmex”, malandataria della “Tecno Hospital” di Giampaolo Tarantini che, per le sue prestazioni di prosseneta, è stato molto caro a Silvio Berlusconi, prima che scoppiasse il rumore per le feste in Villa e a Palazzo. E non vorremo poi, che il familismo tocchi anche il bravissimo ed onestissimo Bertolaso; dal momento che, si è appreso, suo cognato Francesco Piermarini, è stato impiegato nei cantieri della Maddalena ed è in rapporti stretti con Diego Anemone. Sicchè, se non si dimette, Bertolaso darà forza a chi crede (e non siamo fra questi), che il sottosegretario e capo della Protezione civile non può denunciare – nemmeno oggi che quelle pratiche sono diventate scandalo – il fondo “gelatinoso” del suo dipartimento, perché anche le sue pratiche sono collose quanto le condotte di chi dovrebbe contestare. Come ha rilevato il senatore Luigi Zanda, in Bertolaso “sono concentrati i poteri politici del governo (è sottosegretario) e quelli amministrativi di un ufficio pubblico (è il capo del dipartimento)”. Egli è dunque il responsabile per eccellenza, l’indiscusso accountable, colui che non solo dirige un progetto, un programma, una misura d’intervento, ma decide anche politiche, priorità, urgenze. Bertolaso è allora doppiamente “accountable”, responsabile: nei confronti del Parlamento come membro del governo, nei confronti del governo come capo del dipartimento. In qualsiasi momento dovrebbe essere pronto a dichiarare in che modo viene eseguito l’incarico, come viene impiegato il denaro, in quale misura sono stati raggiunti gli obiettivi e quali aspettative sono state soddisfatte. Accountability è l’esatto contrario di arbitrio. Presuppone trasparenza, garanzie, assunzione di responsabilità e rendiconto sulle attività svolte, soprattutto sempre l’impegno a dichiararsi. E questo potrà farlo ora, solo dimettendosi.
(Nella foto: Sussirri di Guido a Silvio)
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