“Sei anni di carcere duro. Assolto e neppure un euro” -La politica aquilana indifferente
L’Aquila – Oggi sui quotidiani Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione, è uscito l’articolo che riproduciamo citando la fonte, riguardante l’aquilano Giulio Petrilli, ormai divenuto un caso internazionale di8 malagiustizia italiana. Come è accaduto i8n passato, la stampa nazionale – ma asnche la tv grazie a Magalli – si occupa del caso, mentre la politica aquilana finge di non conoscerlo e gira la testa dall’altra parte. Molto deprimente.
L’articolo è di di Alessandro Belardetti -
Il racconto: richiesta respinta per un cavillo. Un calvario lungo cinque anni e otto mesi, quattro dei quali in isolamento. Giulio Petrilli venne arrestato all’Aquila quando aveva 21 anni, con l’accusa di partecipazione a banda armata con funzioni organizzative, due giorni prima di Natale del 1980. Un terrorista, insomma, per la procura e in carcere rimase quasi sei anni.
Il pm Armando Spataro – specializzato in anti terrorismo – chiese per l’allora studente di Lettere undici anni di galera. In primo grado Petrilli venne condannato a otto anni, poi in Appello nel 1986 l’assoluzione, confermata tre anni dopo in Cassazione. E nessun indennizzo per ingiusta detenzione.
“La Corte d’appello di Milano e la Corte di Strasburgo me l’hanno rifiutato. La prima spiegando che con le mie “cattive frequentazioni” ho avuto la colpa o il dolo di contribuire all’arresto; i giudici di Strasburgo nel 2014 non hanno dato motivazioni”.
Quali erano le sue “cattive frequentazioni”?
“Facevo parte dei collettivi e avevo rapporti con politici. Un pentito con dichiarazioni vaghe mi accusò di essere un membro di Prima Linea e il magistrato ritenne che ero uno dei capi. Una follia, per un ventenne. A tutti gli imputati accusati ingiustamente di banda armata viene applicato il comma uno dell’articolo 314, la “colpa o dolo”.
La sua battaglia dopo la sconfitta alla Corte europea è finita?
“Assolutamente no. Sto lottando perché quel comma venga abolito, non si possono introdurre giudizi arbitrari, è una norma solo italiana. C’è un disegno di legge di Sinistra Italiana in Parlamento, ma sta nel cassetto”.
La sua assoluzione è avvenuta con l’entrata in vigore dell’indennizzo per ingiusta detenzione. Sarebbe necessario introdurlo anche per le assoluzioni precedenti e rendere la norma retroattiva?
“Certo, infatti c’è una proposta di legge in Parlamento per introdurre la retroattività a livello normativo. L’Aula l’ha ricevuta nel 2011, spero presto in una nuova legge”.
Ha ricevuto le scuse da qualcuno?
“Nessuno ha chiesto scusa, mai”.
L’appoggio da parte delle istituzioni?
“Tanti slogan, ma in concreto poco. Ho scritto a Renzi, quando era premier, non mi ha mai risposto”.
In cella ha vissuto in condizioni estreme?
“All’epoca con quel tipo di reati ti mettevano nei carceri speciali: io ne ho vissuti tredici, stavo 23 ore al giorno in isolamento in stanze di due metri per due”.
Si sente vittima del “rastrellamento giudiziario” di quegli anni?
“C’era una cultura dell’emergenza e non più lo Stato di diritto, le regole si erano ristrette. Non si ragionava più, per un fatto minimo entravi in prigione e non uscivi più”.
Cosa ha perso in quegli anni?
“La giovinezza. Quando sono uscito è stata davvero dura, quella ferita non si rimargina”.
Cosa le resta del carcere?
“In negativo la sofferenza estrema: peggio della detenzione non c’è nulla. Tocchi la paura di impazzire, si perde il senso delle cose in isolamento. In positivo, la forza che mi ha dato quella esperienza: ogni volta che adesso succede un fatto negativo nella mia vita, penso che c’è di peggio”.
Quanto ha speso per cercare di ottenere un risarcimento?
“Dall’89 avrò buttato via oltre 200mila euro”.
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