Le “infoibate”: Norma Cossetto, le sorelle Radecchi
(di Maria Teresa Infante) -
Pur condannando l’orrore – e non potrebbe essere altrimenti – di quanto di inumano e inconcepibile avvenne dal 1943 al ’45 nelle martoriate città agli estremi confini della nostra penisola, vorrei porre l’attenzione ancora una volta su alcune delle figure femminili, vittime tra le vittime. E non per preferenza sommaria verso un genere, ma per portare a conoscenza alcune delle innumerevoli storie in cui, per la sola colpa di essere donne, si muore più volte; e per dare loro un volto, uno fra le migliaia, restituendo una piccola parte di quella dignità rubata, saccheggiata, depredata, così come lo furono i loro corpi: carne da macello, scettro di un delirio di onnipotenza fallace.
Norma Cossetto di Santa Domenica di Visinada, oggi appartenente alla Croazia. Iscritta ai corsi di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova, aderì ai Gruppi universitari fascisti di Pola; anche il padre era un podestà di Visinada. Fu trucidata e infoibata dai partigiani titini, in un’Italia lasciata allo sbando, mentre preparava la tesi di laurea dal titolo “Istria rossa” (colore della bauxite di cui è ricca la terra d’Istria). La sua storia è stata riportata all’attenzione nel 2015 con l’inizio delle riprese del cortometraggio “Rosso Istria”, regia di Antonio Belluco, con Simone Cristicchi che ne ha composto la colonna sonora. Il film verrà girato quasi completamente a Padova.
Norma è una delle tante morti a cui non si riesce a dare una logica spiegazione se non quella di una inutile quanto malvagia crudeltà. La ragazza fu arrestata da partigiani italiani e jugoslavi, il 25 settembre del ’43 insieme ad altri parenti e condotta nell’ex- caserma dei carabinieri di Visignano dove subì un primo interrogatorio. Rifiutò di aderire ai gruppi di partigiani e non volle rinnegare la sua adesione al fascismo. Fu dapprima rilasciata ma il giorno dopo fu arrestata e successivamente, con l’arrivo dei tedeschi in città, trasportata ad Antignana. Fu proprio qui che venne sottoposta a orribili torture e sevizie, stuprata in maniera brutale, legata a un tavolaccio per più giorni. L’episodio fu anche narrato da una testimone oculare pochissimo tempo dopo alla stessa sorella Licia.
“Signorina non le dico il mio nome, ma io quel pomeriggio, dalla mia casa che era vicina alla scuola, dalle imposte socchiuse, ho visto sua sorella legata ad un tavolo e delle belve abusare di lei; alla sera poi ho sentito anche i suoi lamenti: invocava la mamma e chiedeva acqua, ma non ho potuto fare niente, perché avevo paura anch’io”.
(dal racconto di Licia Cossetto, sorella di Norma)
La notte tra il 4 e il 5 ottobre, i prigionieri, legati con filo di ferro, furono condotti a piedi, fino a Villa Surani e gettati in una delle foibe. Le tre donne presenti nel gruppo prima di essere uccise furono nuovamente violentate, torturate e poi gettate vive nella foiba, profonda 136 metri. Verso la metà di dicembre dello stesso anno, i vigili del fuoco di Pola cominciarono ad estrarre i cadaveri dalla fossa e quello di Norma fu tra i primi ad essere recuperato, essendo quasi in cima alla moltitudine dei corpi ritrovati. Fu una delle ultime vittime e il suo cadavere non era ancora in uno stato di decomposizione avanzato. Le brutalità subite erano sotto gli occhi di tutti; oltre che essere stata oggetto di violenze sessuali ripetute, le erano stati amputati i seni, e le era stato conficcato un oggetto di legno in vagina.
Furono ritenuti responsabili sedici partigiani e arrestati, su denuncia della sorella Licia, ma mi chiedo ancora perché continuino a chiamarli partigiani e non brutali stupratori della peggior specie. Dalle prime ricostruzioni si evince che forse non erano partigiani di Tito ma “cani sciolti” italiani vicino alla Resistenza.
A scuola, a casa, mi avevano inculcato un’altra idea del partigiano “Oh partigiano portami via…”, ma forse quella era un’altra storia e questi “tipi” avevano le idee confuse riguardo al concetto di ideale, patria e libertà. Idee confuse a parte, il nemico non può essere una/tre/cento donne inermi, e gli stupri, le sevizie su un corpo femminile nulla hanno a che vedere con la difesa o la conquista di un territorio o di un credo politico. Tornando ai “tipi”, vennero condannati a morte dopo un processo sommario e costretti a vegliare per tutta la notte il corpo straziato della Cossetto, per poi essere fucilati all’alba. Si disse che tre di loro impazzirono nella notte; strano, se si pensa alle efferatezze di cui sono stati capaci senza neanche l’ombra dell’humana pietas. Nel 2005 Norma riceve dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la Medaglia d’oro al merito civile con la testuale motivazione:
“Giovane studentessa Istriana, catturata e imprigionata dai partigiani Slavi, veniva lungamente violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio.”
Altra triste fine fu quella delle tre sorelle Radecchi: Fosca, Caterina e Albina, tutte gettate nelle foibe dopo aver subito le stesse violenze di Norma e di chissà quante altre donne rimaste senza nome. Un triplice omicidio raccapricciante di tre giovanissime innocenti di 16, 19, 21 anni. Lavoravano in una fabbrica di Pola e furono soggette a trattamenti disumani per giorni. Albina era anche prossima a partorire ma non le fu risparmiata nessuna sevizia. Vennero infoibate ancora vive e forse raggiunte dai vari proiettili che venivano scaricati nelle fosse per assicurarsi della morte delle vittime.
A Rosa Petrovic fu riservato un trattamento speciale aggiuntivo, strappandole gli occhi dalle orbite.
Gratuità di un macabro orrore a cui non trovo risposte.
Il parlamento istituisce il giorno della memoria per le vittime delle Foibe a partire dal 2005. Il presidente Ciampi: “Questi drammatici avvenimenti formano parte integrante della nostra vicenda nazionale; devono essere radicati nella nostra memoria; ricordati e spiegati alle nuove generazioni.” Quello delle Foibe è un massacro di cui per quasi 50 anni si è preferito parlare poco, perché i carnefici erano difficilmente identificabili, non facilmente ascrivibili a una esatta fazione politica, (come nel caso di Norma), a una nazione i cui confini venivano completamente ridisegnati. Solo nell’ultimo ventennio si sta restituendo dignità alle tante vittime e ridefinendo i fatti con logicità e trasparenza di contenuti. Tante verità angoscianti sono state riportate nel libro “Una grande tragedia dimenticata – La vera storia delle Foibe” di Giuseppina Mellace, con uno sguardo particolare al sangue femminile versato. Testi a parte, non ci vuol molto a capire che siamo il fallimento più grande di Chi si illuse di crearci a sua immagine e somiglianza. Non chiamatelo Uomo per favore. E’ ancora il tempo del dolore.
Maria Teresa Infante
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