La Grecia agonizza, la Spagna si aggrava e l’Italia non sta troppo bene…
(di Carlo Di Stanislao) Sono stato definiti PIGS (maiali), e sono i Paesi non virtuosi, che stanno strascinando l’Europa in un abisso senza fine. Sono quattro queste Nazioni: Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, ma in origine, come scrive Sole24 Ore, la I stava per Italia. Ma siccome la realtà è sempre più ricca delle parole, non è stato possibile ignorare che anche un altro paese di Eurolandia, poco latino, ha gli stessi problemi: l’Irlanda. Sicchè a dicembre, i Pigs erano diventati Piigs, con l’aggiunta dell’Irlanda e martedì tornati “Pigs” (più evocativi), con l’eliminazione del nostro Paese, espulso per ora dal “porcile”. Le turbolenze di questi ultimi mesi sui mercati finanziari, con il forte aumento dei rendimenti sui titoli pubblici e del premio richiesto per assicurarsi in caso di default sovrano della Grecia, ha innescato un prevedibile effetto di contagio, esteso a Portogallo e Spagna. L’approvazione, da parte della Commissione europea, del piano greco di consolidamento fiscale, non ha tranquillizzato i mercati, che continuano a ritenere il paese ellenico incapa ce di raggiungere l’obiettivo. La tensione si è in seguito estesa anche al Portogallo, dove il governo di minoranza del socialista José Socrates potrebbe essere costretto a dimettersi per impossibilità a far passare le misure di stretta fiscale necessarie alla riduzione del deficit. Anche la Spagna è tornata sotto i riflettori, per analoghe considerazioni. Nel Paese l’inflazione è cresciuta a dismisura, i tassi d’interesse reali sono diventati negativi, drogando ulteriormente i consumi ed il settore delle costruzioni, con in più costi del lavoro per unità di prodotto in costante aumento. Il partito socialista del premier spagnolo José Luis Zapatero, sempre più contestato per la sua gestione della crisi, è in ulteriore calo nelle intenzioni di voto, staccato di quasi sei punti dal Partido Popular di Mariano Rajoy, secondo due sondaggi resi pubblici oggi a Madrid. Il sondaggio Sigma Dos realizzato per El Mundo assegna al Psoe del primo ministro il 37,7%, contro il 43,5% al Pp. Alle politiche del marzo 2008 il Psoe aveva vinto con il 42,6% contro il 37,7% ai popolari. Il sondaggio Metroscopia per El Pais conferma la tendenza, assegnando il 43,4% delle intenzioni di voto al Pp e il 37,5% al Psoe. Secondo la rilevazione di Sigma Dos il 51,% degli spagnoli (e un elettore socialista su cinque) chiede elezioni, il 43,3% è contro, e il 65,8% è favorevole ad un rimpasto di governo. Il sondaggio Metroscopia rileva inoltre che l’84% degli spagnoli è contrario all’inalzamento dell’età del pensionamento da 65 a 67 anni proposto da Zapatero. Il 94% ritiene che dovrebbe essere volontario. Ed i guai per l’Europa non sono finiti. Anche l’Irlanda è in forte crisi, almeno quanto Grecia e Spagna e per recuperare competitività, non disponendo della leva del cambio, non potrà far altro che passare attraverso una dolorosa deflazione, fatta di tagli a stipendi e pensioni ed elevata disoccupazione. Ma l’Irlanda ha un vantaggio su gli altri Paesi in crisi: la sua popolazione ha già accettato i sacrifici indotti dal necessario aggiustamento, cosa che in Grecia è difficile, in una situazione di forti e crescenti tensioni sociali e in Portogallo, a maggioranza socialista, difficile da far digerire. Ed anche l’Italia, nonostante le trionfalistiche dichiarazioni di Berlusconi e dei suoi, la situazione è molto complessa, fatta più di ombre che di luci. Le poche luci derivano dal fatto che noi abbiamo uno squilibrio dei conti con l’estero complessivamente assai minore rispetto ai paesi oggi bersagliati dai mercati finanziari ed abbiamo anche meno stock di debito estero, oltre ad un tasso di risparmio interno soddisfacente. Le ombre derivano dalla nostra storica incapacità a crescere. Il problema dei problemi, quello che sta rapidamente portando i nodi al pettine, è l’insufficiente crescita economica del dopo-crisi. Il Pil cresce meno del costo del debito, che rischia quindi di incamminarsi su una traiettoria esplosiva. Questo è il problema italiano, unitamente al fatto che l’andamento dei nostri costi unitari del lavoro appare sinistramente simile a quello dei paesi oggi al centro della crisi. Quando si ha un rapporto debito-Pil del 120% e non si riesce a produrre crescita, i creditori si innervosiscono ed i mercati fiutano l’odore del sangue. Per questo l’ottimismo manieristico del nostro governo, che appare ormai vittima di una sindrome di rifiuto della realtà, rischia di far precipitare anche la nostra situazione. L’Italia non riesce a frenare l’espansione dell’incidenza della spesa pubblica sul Pil, che viene rincorsa da un continuo, strisciante aumento della pressione fiscale. Ma, come mostra una schiacciante evidenza empirica ormai secolare, l’aumento della pressione fiscale frena la crescita e genera una spirale che rischia di essere mortale. Ridurre le tasse significa ridurre l’incidenza della pressione fiscale sul Pil, non tagliare singole imposte. La pressione fiscale italiana è rimasta stabile durante la crisi, mentre il paese ha perso circa 6 punti percentuali di Pil. Se da un lato ciò ha rassicurato i mercati sulla nostra solvibilità di breve termine, dall’altro ha finito con lo stringere il cappio al collo della nostra crescita potenziale, già rachitica, e rischia seriamente di farci avvitare su noi stessi. I prossimi mesi saranno decisivi per la costruzione europea, ma ancor più potrebbero esserlo per il nostro paese. Di fatto, per ora, rispetto ai “PIGS” l’Italia è “in una classe a parte”, merito, dice l’economista Pietro Saccò:” di uno studio di Unicredit diffuso venerdì, della prudente gestione del bilancio statale tenuto dal governo durante la crisi e dall’alto tasso di risparmio dei privato”. La nostra classe politica (soprattutto di governo) guarda alle prossime elezioni amministrative come ad una sorta di giudizio divino, senza rendersi conto che il vero redde rationem verrà dai mercati finanziari. Ma certamente, in quella circostanza, Berlusconi & Co la butteranno sul complotto. In verità stiamo vivendo un’ennesima stagione di molte ipocrisie, con i politici che, più che trovare ricette ai mali, paiono preoccupati d’ammannire all’opinione pubblica placebo rassicuranti; i banchieri, scampato il pericolo immediato, che si occupano delle loro botteghe, tosando la clientela e lesinando finanziamenti alle piccole industrie ed imprenditori che si chiudono a riccio: licenziando e ristrutturando Ecco allora, al di là di contingenti manovre, di piccolo (e speculativo) cabotaggio, la ragione profonda di questa crisi borsistica: l’incertezza sull’accadrà domani. Siamo forse all’antivigilia della fine del sogno dell’Unione Europea, poiché, ad una politica monetaria unita nel segno dell’Euro non si è affiancata una politica economica degna di questo nome ed oggi si pagano i prezzi della mancanza di visione di ieri. L ’idea che un “vincolo esterno” potesse essere sufficiente a modificare abitudini istituzionali negative, esemplificate dalla corruzione etica alla base dei trucchi contabili dei greci (e non solo), si è dimostrata un’illusione, che in più ha contribuito alla condizione attuale, perché sottendeva l’idea della necessità di una tutela permanente. Da un lato le scappatoie sono sempre infinite; dall’altro, l’idea del “vincolo esterno” negava alla radice la necessità di costruire nuove istituzioni, basate su una piena assunzione di responsabilità, sia dei Paesi individualmente considerati, che del loro contributo alla casa comune.
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