Santa Croce, brutta storia in un Abruzzo crepuscolare
L’Aquila – Sarebbe ardimentoso tentare di capire qualcosa nella intricata vicenda che vede contrapposte la Regione e l’acqua Santa Croce di Canistro. Siamo in un paese dove nulla è chiaro e soprattutto niente la gente deve capire, altrimenti diventerebbe troppo intelligente e sceglierebbe politici diversi. Magari anche imprenditori meno avventurosi.
Meno ardimentoso, quindi a portata nostra e di chi legge, affermare che la cavillosa, bizantina storia dell’acqua abruzzese è l’immagine di un Abruzzo polveroso, crepuscolare, ricolmo di burocrati spigolosi quanto superflui, di regole antiquate e oscure ai più, politici ingessati che dicono di voler cambiare e non cambiano nulla, anzi peggiorano le cose. O forse sono le istituzioni in quanto tali a peggiorare tutto quanto è peggiorabile.
Le osservazioni pessimistiche uno deve formularle per forza. Stiamo perdendo la Santa Croce, acqua obiettivamente ottima, uno dei simboli dell’Abruzzo che davvero girano il mondo, ma soprattutto stisamo perdendo posti di lavoro. Tra scartoffie, carte bollate, baruffe, guerre di accuse reciproche. La Santa Croce diffonde comunicati, la Regione resta muta, caparbia e sicura che celare tutto ai cittadini sia complementare ad ogni sistema di potere.
Prima che siano i soliti stracci a volare (la parte debole, i lavoratori), è proprio impossibile fare ognuno un passo indietro, colloquiare, trovare una soluzione che salvi lo stabilimento e chi vi lavora? Se c’è gente da spedire in tribunale, che sia snidata. Se è solo una questione ottusa da braccio di ferro, che qualcuno vinca, per definitivamente. Pare a tutti assurdo, ma soprattutto sciocco, perdere un’industria simbolo regionale, e dei posti di lavoro, per una baruffa complicata, uno scontro di galli o peggio una lite da cortile. Più crepuscolo di così… Ma certo non un crepuscolo degli dei.
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