Un centro storico a misura di consumatori


Un centro storico dell’Aquila che sarà finito tra circa una decina di anni, a 15 o 20 dal 2009. Chi aveva 50 anni si ritroverà a 65 anni a casa e quindi vecchietto con obiettivi ed esigenze di vita diverse da quelle di prima. Gli artigiani che nel 2009 avevano 60 anni e che regalavano nelle proprie botteghe esperienza e valori prima ancora che merci, rientreranno a 75 e quindi non saranno più nelle condizioni di riaprire l’attività.

Insomma, nel 2025, ci sarà una città nuova sia materiale che umana con una cultura che non offrirà tutti i tesori di prima, ma che dovrà crearne di nuovi.

Un aquilano che prima del terremoto sognava una città migliore, di certo, la pensava senza traffico, con i parcheggi, con tante iniziative ed occasioni di aggregazione in centro e forse con qualche opportunità lavorativa in più. Ma il sogno finiva sistematicamente all’alba senza troppi turbamenti perché in fin dei conti all’Aquila si viveva bene ed era bella, quasi fiabesca nei mesi invernali. Di certo l’aquilano non pensava a case più sicure e neanche a un centro a misura di anziani e di disabili. Comunque dopo il 2009 la politica ed il leviatano hanno deciso di rifare prima le periferie e di riflettere a lungo sul centro danneggiando notevolmente chi era proprietario degli immobili e delle attività commerciali e professionali.

Ma la tragedia è stata grande quindi a mali estremi e dopo aver tanto riflettuto ci si aspettano estremi rimedi. Ma ho il timore che non sarà così. La politica nonostante le prossime elezioni amministrative di primavera tace su tutto e neanche bisbiglia sottovoce. C’è un accordo tacito sotto traccia ed uno scoraggiamento diffuso a muovere inutilmente energie creative. Non c’è fermento. Chi ha in mano le mazze indica l’imbuto dove si deve passare per partecipare con calma alla spartizione delle ultime briciole dei fondi per la ripartenza delle attività commerciali del centro storico ma non mi sembra di intravedere alcun valore aggiunto per dei potenziali osservatori rispetto ad altri centri storici d’Italia e nessuna unicità ci sarà alla fine dell’abbuffata.

Anche le associazioni di categoria galleggiano nel silenzio per non scontentare i commensali e per non parlare in modo scostumato mentre sono, anche loro, con la bocca piena. Insomma, un rientro un po’ triste e senza l’energia creativa che ci si aspettava dopo tanta attesa. L’infrastruttura dei sottoservizi che procede abbastanza celermente nelle vie del centro, tra pochi mesi o al massimo tra pochissimi anni, sarà terminata in modo capillare ma nessuno chiede o parla dell’uso e delle opportunità se non in termini di allacciarsi come clienti alle reti dei fornitori di utenze quali il gas, l’acqua, l’elettricità, internet e la fogna.

Un silenzio sulle opportunità quasi voluto per non svegliare la popolazione dal lungo torpore. Un silenzio già sentito quando si regalarono gli spazi per i pannelli fotovoltaici sopra i progetti CASE a delle società invece di realizzarli come città per darne i frutti agli abitanti delle stesse o almeno a tutta la città. Come si fa a non vendere già da ora a tutto il mondo l’idea di una città con un centro storico dove tutti saranno connessi ad altissima velocità e gratuitamente. Come si fa a non paventare al mondo l’opportunità di vivere una unicità del genere? Come si fa a non liberare le energie creative che potrebbero derivare dalla connessione di tutte quelle discipline che sceglieranno di vivere in centro connettendosi e collaborando con il mondo? Perché l’Amministrazione Comunale è così triste da pensare a come spartire quei 10 o 30 milioni per far aprire qualche anonima ed indistinta bottega del centro invece di diventare proprietaria di una rete a fibra ottica e wireless del genere, con una parte di quei fondi, anche attraverso un accordo di outsourcing, e offrire un’opportunità di connessione moderna ed unica al mondo a titolo gratuito a tutti i futuri portatori di interesse del centro storico? La connessione alla rete con tutti i suoi nodi di competenze è già oggi una risorsa più importante del petrolio, capace di aggregare senza il limite dello spazio e del tempo e grazie alla quale paesi e regioni emergenti, senza risorse naturali, stanno facendo la fortuna per i propri giovani generando lavoro ed opportunità. Perché L’Aquila non riesce a cogliere le sfide del futuro e perché non vola preferendo essere consumatrice, spettatrice, cliente fino all’estrema conseguenza di dover far espatriare ed esprimere i talenti dei propri figli in città come Londra o Parigi o Milano o Bologna?



22 Novembre 2016

Pier Paolo Visione  -  Dottore Commercialista e Revisore legale in L’Aquila

Categoria : Editoriale
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