80 anni dai fatti di Contigliano
di Enrico Cavalli
Con la diffusione dello sport moderno, dal principio del secolo breve del’900, il capoluogo abruzzese, gradualmente, aveva raggiunto un livello di avanguardia nelle varie discipline a squadra e/o individuali, specie nel pionieristico footteballa, e, nell’impiantistica comunale.
Aquila (dal 1939 per r.d., L’Aquila), designabile alla Mostra di Milano fra le capitali dello sport italiano nel 1935, vedeva nella socializzazione sportiva, uno degli aspetti salienti, della strategia del grande comune podestarile, sorto nel 1927, per bilanciare la perdita di una vasta provincia.
La imprenditoria cittadina, specie quella edile, partecipa delle sorti sportive locali, a patto di sollecitazioni amministrative, a dispetto dell’ideologia, culminanti nelle potenzialità interclassiste, dell’AS. Aquila 1931, in serie B del football nel 1934, ovvero, la prima realtà dello sport abruzzese, a salire in una divisione nazionale. La squadra orgoglio della regione, al suo esordio al girone b di cadetteria nel 1934-35, colse la 4’piazza a 32 punti, cinque lunghezze distante dall’US.Bari promosso in serie A; l’annata seguente, fu meno roboante per un nono posto, in un girone unico, quindi, più difficoltoso tecnicamente.
Al terzo anno di cadetteria 1936-37, con Adelchi Serena, vicesegretario al PNF., di Achille Starace, eppure, osservatore di lontano dei processi della Grande Aquila, l’organico rossoblù, lasciato all’AS.Ambrosiana-Inter, il Frossi olimpionico a Berlino 1936 (come la atleta d’oro Ondina Valla, di là da venire in città), si compone di Sain, Stornelli, Battioni, Bon, Brindisi, Di Giacomo, La Roma, Michetti, Testoni, Orsini, PastorelliI e II, Romagnoli, Rossini. Questo ridotto organico aquilano, nelle prime giornate, alberga in posizioni di retroguardia. Minimamente, nei luoghi del tifo, si ipotizzava, la messa in discussione della permanenza di categoria.
Tale eventualità, per cause esterne ed imprevedibili, ebbe a profilarsi, in conseguenza del deragliamento, alla stazione reatina di Contigliano il 3 ottobre 1936, del treno-littorina (per uno scambio di binari fatale, ci fu un urto frontale con un postale in direzione opposta), purtroppo, che portava i rossoblù, per la quarta di andata a sfidare, la già temibile gialloblù Hellas di Verona.
Fu un frangente drammatico, nonostante il repentino soccorso, da parte del responsabile sanitario aquilano Mario Capezzali e del presidente Centi-Colella, nei riguardi degli incidentati sportivi e civili. Nell’infausto evento, in campo rossoblù, periva l’allenatore Attilio Buratti, molti i giocatori che gravemente infortunati, terminarono anticipatamente la stagione; altri atleti, pur assai vilipesi, si ripresero lentamente, come Rossini e Bon (il giuliano, già colonna dello sport cittadino, alle prime venne ritenuto esangue, e, solo per la prontezza di un dirigente rossoblù, fu scorto ancora vivo). Michetti e Brindisi, sotto squalifica, Stornelli, casualmente, tutti, non presenti all’appuntamento della partenza per il treno, ai Quattro Cantoni, sfuggirono alla tregenda, diventando i vessilliferi di una compagine rossoblù, che riceveva vasta solidarietà dalle società consorelle, e, non solo, visto il risalto mediatico dello scontro ferroviario, che comportò la perdita di ventidue persone fra civili e fer-roviari. Cominciava una difficilissima congiuntura, man-cando agli aquilani, per sorteggio, invece, arridente all’AC. Anconitana, la Coppa Anomima Infortuni, messa in palio dalle Assicurazioni Generali, per premiare la squadra avente meno infortuni stagionali. Fu estenuante, la procedura burocratica tesa ad ottenere un risarcimento dei danni dalle Ferrovie dello Stato: ad esempio, Rossini, non poté incassare le trentamila lire di indennizzo statale, poiché minorenne.
La FIGC, prospettava di una possibile ripartenza aquilana, dalla cadetteria per l’anno venturo, ma, previo spareggio con le squadre giunte ultime nel torneo. Sospinta dall’emozione popolare, la presidenza Centi Colella, declinando questa profferta federale, puntò sugli elementi della AS. L’AquilaII (all’epoca, nacquero per valorizzare i vivai autoctoni, tornei per seconde squadre). Pragmaticamente, venne accettato il prestito di riserve di alta qualità tecnica: il difensore oriundo argentino Roberto Allemandi, di fatto, il primo straniero in rossoblù, l’avanti Mario Marchegiani, i metodisti Giulio Liberati, Giacomo Valentini, Otello Trombetta dall’AS. Roma e Verità dall’AC. Novara, onde proseguire dignitosamente il campionato.
L’episodio di Contigliano, causato aveva strascichi nella tenuta societaria: le opzioni di mercato e la vertenza con le FF.SS., non furono affatto condivise, da tutti i dirigenti. Ci si appellò a Serena, affinché imprimesse una sterzata al club, da individuare nell’eventuale presidenza dell’avvocato e gerarca un po’discosto, Gustavo Marinucci, a svantaggio delle sue velleità dirigenziali, il suo essere a contralto, proprio, di Centi-Colella.
Nel mentre della intitolazione, stando a ”Il Messagge-ro”dell’11 novembre 1936, a Buratti di un torneo per squadre della Sezione propaganda studentesca ed affiliate alla FIGC., e di un’asta benefica di “Il Littoriale-Corriere dello Sport” del 19 novembre 1936, a favore della famiglia del tecnico romano, passava, agli annali calcistici, la tenacia di una cosiddetta provinciale, pronta a cercare il nuovo traghettatore rossoblù. A dimostrazione del possesso, in chiave aquilana, di una conoscenza del panorama calcistico, oltre le mura trecentesche, fu deciso di riprendere la strada dei tecnici magiari, chiamando Andreas Kutik, già della gloriosa biancoblù Pro Patria di Busto Arsizio.
Le aspettative per questa prestigiosa designazione di panchina, lasciarono il posto a meditazioni sullo stato dell’arte, poco entusiasmante: alla subitanea sconfitta per 0-1 a La Spezia, seguirono lo 0-0 nella gara di recupero alla fatidica Verona, due successi nel girone di andata, entrambi, in casa ai danni dei giallorossi, per imposizione di regime del FC. Palermo per 3-1, e, catanzaresi per 2-0. La rincorsa alla salvezza, in virtù della volontà di reazione rossoblù, pareva, forse, concretarsi al 2-1, sui gialloblù scaligeri, allo stadio comunale.
Altre energie morali provenivano dall’esordio aquilano alla Coppa Italia, alla sua quarta edizione ed in stile della storica Coppa d’Inghilterra a gara secca, su di un campo designato per sorteggio fra club di A, B, C e che permetteva a chi risultava vittorioso di partecipare alla Mitropa. Superato al terzo turno eliminatorio, il 24 dicembre i biancocrociati dell’AC. Parma, sul loro terreno ducale per 1-0, gli aquilani al tabellone dei sedicesimi, sfidavano il giorno dell’Epifania 1937, a Milano nello stadio San Siro, l’AS. Ambrosiana-Inter del balilla Peppino Meazza, e, vengono applauditi, dopo un epico 3-4, dimostrando di meritare simili prosceni.
Pesava sul rendimento di campionato dei rossoblù, la di-sputa dei recuperi di partite durante la settimana, il tornante che doveva chiudere la strada della permanenza in cadetteria, fu rappresentato dal polemico pari casalingo, imposto dalla ProVercelli dei sette scudetti. Era sanzionato un esito impensabile, quello dell’uscita del capoluogo abruzzese dal calcio che conta, posizionatosi terz’ultimo, a ventiquattro punti, ovvero, quattro sotto gli spareggianti AFC. Catania e AC. Venezia, quest’ultima, a prevalere, a pari merito con la USF. Catanzarese, fallita finanziariamente, e, dieci sopra il fanalino US.Viareggio.
Grazie alla compagine rossoblù, gli Abruzzi, erano entrati nella cosiddetta nazionalizzazione calcistica. Originano nel capoluogo abruzzese, le dinamiche del tifo organizzato anche in inusitata versione femminile (cfr., i nn.del “Corriere d’Abruzzo”della primavera’36), con folle domenicali allo stadio comunale ed esodi di appassionati a mezzo di treni e pullman per sostenere i rossoblù in trasferta; raduni di tifosi ai punti radio dell’EIAR., per discussioni interminabili sugli esiti delle partite, che stimolano un antesignano Totocalcio all’elegante corso UmbertoI, soprattutto, per approfondimenti delle cronache agonistiche, sui grandi giornali sportivi e politici, magari suscettivi di forme di veicolazione culturale.
La serie C, ripropose per i rossoblù le sfide campanilistiche esacerbate dal rivoluzionamento abruzzese del 1927, con compagini teatine, popolesi, teramane, marsicane, nonché coi potentati dopolavoristici di Roma, Terni, Perugia, Ancona, Macerata. Dedizione dirigenziale, azionariato popolare, elargizioni del fondo liberale Pro Aquila, restavano le basi minime per la ripresa di competitività rossoblù. Nell’era autarchica, si isterilivano le ipotesi di nuovo approdo in B, sebbene momenti di fulgore aquilano furono: il discusso 1-4, subito agli ottavi di Coppa Italia nel 1938 dal FC.Juventus; l’inopinato 1-3, in finale con l’US.Anconitana-Bianchi della Coppa Italia Centrale nel 1939; infine, a seconda guerra mondiale scoppiata, il 5-0 rifilato alla itinerante squadra della Wermacht nel 1943, tra i rarissimi, momento di evasione per la città, dagli eventi bellici e che duramente l’avrebbero toccata nel vivo.
Dopo la seconda guerra mondiale, la tradizione calcistica aquilana, incontra la concorrenza temibile dell’US.Pescara, asceso ad un torneo misto A e B del 1944. La FIGC., di Barassi ammiratore dei rossoblù vittoriosi, con gli Acconcia, Masci, Romagnoli, Di Giacomo, su rappresentative britanniche, come i bianchi del FC.Derby County, proprio, per gli indubbi meriti calcistici della piazza, offrì la possibilità di riscattare le conseguenze di Contigliano.
Era, dunque, dato di risalire in cadetteria (questa ”scoperta” documentale, la si deve alla Mostra del Supporters’Trust sui 100 anni del footteballe cittadino del 2015), alla nuova AS.L’Aquila 1944. Per dei corti circuiti, tra politica-imprenditoria-tifoseria locale, si mancava, incredibilmente, l’occasione a distanza di dieci anni, di tornare nel professionismo.
La risposta allo svarione municipale, passò per l’affidamento dell’AS.L’Aquila, ai processi mecenatistici, ma, non si andrà oltre la C del 1958-59. A lungo termine, solo dalla unione trasversale di forze civiche, concordi sui risvolti sociali del fatto agonistico e fuori da strumentalizzazioni personalistiche, il calcio nel capoluogo abruzzese, sarebbe potuto progredire, in termini di positive dinamiche di tenuta identitaria, come al sorgere dello sport aquilano era accaduto.
La memoria di Contigliano, sarà sfilacciata, almeno, fino alla prima ricostruzione libraria sul calcio aquilano (1978-79, Sì sì sì, torniamo in serie C, di Dante Capaldi), nella coscienza collettiva locale, in parte, perché bisognava riannodare le fila di un discorso ascrivibile ad un’epoca, oggetto, di opposti giudizi ideologici, e, in parte, perché, quell’episodio, come sopraccennato, faceva evocare per converso, lo svanire del ripescaggio in cadetteria.
Fatto sta che si deve alla presidenza del FC.L’Aquila, in serie D del 1986-87, di Paolo Valentini, la ufficiale commemorazione pubblica della cosiddetta Superga rossoblù, passata, allora, in secondo piano, a causa di disfunzioni della istituzionalità e modalità autoreferenziali della comunicazione locale (per l’occasione il club aquilano, donò medaglie d’oro agli eredi di Claudio Mancini, e, in persona agli ultimi alfieri di quella epopea, Stornelli, Rossini, Bon).
Sforzi di ricerca più o meno recenti, sulla vicenda rossoblù, hanno permesso una migliore comprensione dell’accadimento del 3 ottobre 1936. Il riferimento è agli studi condotti del Supporters’Trust Laquilame’, che ha in solitaria, svolto un interessante e lodevole gemellaggio, con il comune di Contigliano, sotto forma di momenti di riflessione sportiva; in occasione di questa ricorrenza, alla stazione ferroviaria contiglianese, ci sarà l’apposizione di una lapide commemorativa, anche patrocinata dalla locale municipalità e società rossoblù.
Sulla vicenda di Contigliano, merita un encomio, la sezione del Panathlon che nel 2015, ha promosso un gemellaggio con l’omologo consesso e comune di Verona, intessendo il progetto di una partita amichevole fra l’Hellas gialloblù ed i rossoblù, magari, quando questi ultimi, saranno nel calcio che conta.
L’auspicio è che, l’attuale massima dirigenza dell’AS. L’Aquila, nel suo proclamato intento di far tornare subitamente, al proscenio calcistico nazionale, il capoluogo abruzzese, avverta che simile traguardo va colto e poi migliorato, a partire da una maggiore opera di divulgazione della storia rossoblù, magari, in tandem alle istituzioni pubbliche e private, la qualcosa, da abbinare alle iniziative di socializzazione del nuovo stadio dell’Acquasanta. E’ineludibile, per fare calcio moderno, consolidare ed infondere, specie, nelle nuove generazioni del tifo, in senso educativo, un messaggio di tradizione identitaria, non soltanto, entro una sfera sportiva, invero, ci si consenta, tanto fiera e nobile.
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