Il sisma – Ritorno nella città senza più volto


L’Aquila – La città non ha più fisionomia. Il suo volto storico, quello che ne faceva “una bella città”, come dicevano i turisti, è strappato via dalla testa, come nei peggiori film dell’orrore. In parte il centro è in piedi, come mostrano livide immagini televisive, sommarie e non dettagliate. Ma dietro le facciate rimaste e sotto i tetti non c’è nulla. Gli aquilani sono altrove, sfollati sotto le tende o a migliaia diluiti lungo i centri accoglienti e gentili della costa. Mai finiremo di ringraziare quella gente adriatica, mostratasi civile, cortese, disponibile quasi ovunque e con chiunque. Persino i casellanti autrostradali sono cortesi quando chiedi l’esenzione dal pedaggio. Sai com’è, se fai il pendolare, 200 km al giorno sono pesanti come carburante e come pedaggio. E l’auto che si consuma presto, mentre contavi di tenerla anni.
L’Aquila senza fisionomia, se non quella della periferia anonima e dispersa per chilometri. Ci siamo persino accorti, in questo sisma, che la città è grande, estesa, diffusa nella conca. Forse anche troppo. L’Aquila ferita a morte e muta in un dolore che non avrebbe mai pensato di dover sopportare. Ma sopporta, a schiena dritta, e già pensa a rinascere, giurano tanti. Confortata anche da una solidarietà che non ha limiti e confini, davvero commovente. Tutto inatteso, come la grande fratellanza degli abruzzesi verso una città altezzosa e un po’ scostante, oggi in ginocchio, che tutti vanno ad abbracciare perchè almeno riapra gli occhi. Fratelli, tutti. In Abruzzo, in Italia, all’estero. Toccante, da commuoverci come non ci era mai accaduto. Grazie alla delicatezza del collega Renzo Labarile, a Rete8, che ha visto occhi lucidi, ed leggero ha sorvolato passando ad altro.
Il nostro breve ritorno a L’Aquila per tentare (invano) di riprendere a casa qualcosa, ci mostra macerie, polvere, un via vai incredibile di mezzi di soccorso, e mentre ci accodiamo di fronte al palazzo di giustizia (inagibile), arrivano vigili del fuoco da Rimini. Una stretta al cuore: la città di anni felici, spensierati, al mare con amici, risate, scherzi, battute. Chi avrebbe mai potuto pensare di ritrovare un pezzo di Rimini qui tra le macerie… Coda inutile di ore, non si rientra a casa, non ci sono scorte sufficienti e 125 domande prima della nostra. Tentiamo di far capire che alcune cose ci occorrerebbero per poter lavorare, ma è inutile: dalla folla stanca, provata, stravolta, si levano insulti e parolacce per i giornalisti “che hanno rotto i coglioni” e vogliono passare avanti agli altri. Non è vero, ma non rispondiamo e rinunciamo. Torneremo. Un altro viaggio silenzioso e sconsolato, pensando che non ci saranno più sabato sera e agapi amicali al ristorante di Houssam che non c’è più (sbriciolato) o in casa in un amico, che ha perso… la casa.
Sul viadotto autostradale, accanto al guidatore, frughiamo con gli occhi il panorama della città: la torre di Palazzo c’è ancora… la cupola di S.Bernardino, ferita, è in piedi. Qualche campanile smozzicato e diversi tetti che si sembrano da lontano implosi. La città c’è, ma sul suo skylkine aleggia il male, volteggia il dolore di una ferita dilaniante. La mole del castello sembra solida, invincibile, nel polmone verde del parco. Non è così. Ovviamente non vediamo il solo monumento che pare intatto: le 99 Cannelle. Un augurio, un auspicio, una conferma – forse l’unica – dell’ “immota manet” divenuto una beffa bastarda. Immota manebat, forse. Arriverderci, città martire. Se ce la faremo, non molleremo. Se ce la faremo. (G.Col.)


16 Aprile 2009

Categoria : Cronaca
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