Rossi (Cospa): perplessità sui selecontrollori abruzzesi
Ofena – (F.C.). “Selecontrollori obesi con il colestorolo, gli acidi urici e triclicerdi alle stelle”. Torna a far sentire la sua voce con immutata verve Dino Rossi, presidente del Cospa Abruzzo (con sede a Ofena) organizzazione autonoma a tutela degli interessi di allevatori e agricoltori. “Questo – spiega ironicamente – sara’ il quadro clinico tra qualche anno dei selecontrollori abruzzesi abilitati all’abbattimento dei cinghiali in Abruzzo. Secondo il piano di gestione della fauna selvatica della regione Abruzzo, ma anche dell’intera nazione italiana, le carcasse degli animali abbattuti dai selecontrollori vengono cedute solo per autoconsumo”. Tra corso obbligatorio, carabina specifica, assicurazione, versamenti e tasse varie, il costo totale per l’abilitazione di selecontrollore sfiora i 2 mila euro. “Senza contare – aggiunge Rossi – l’acquisto ed il mantenimento dei cani da caccia per il ritrovamento di eventuali animali feriti. Un imprenditore agricolo che si e’ visto danneggiare per anni e ripagato con quattro soldi che per convenienza economica sceglie di diventare selecontrollore invece di recintare i suoi terreni, con l’obbiettivo di ricavare qualche soldino dagli animali abbattuti vendendoli a qualche ristoratore rimane nuovamente fregato dai burocrati. Il piano di gestione – spiega il responsabile del Cospa – obbliga l’utilizzo della carcassa dell’animale abbattuto solo per autoconsumo. Caso strano pero’, quando la caccia e’ consentita la selvaggina puo’ essere venduta anche per il libero consumo. Questo e’ uno dei motivi che rende meno efficace la macchina del selecontrollo, in quanto i selecontrollori hanno i loro buoni motivi di lasciare vivere gli animali fino all’apertura della caccia. Mentre per i parchi sia nazionali che regionali le regole sono diverse: i contadini ricadenti nelle aree protette vengono ripagati subito dei raccolti danneggiati, messi a dimora – accusa Rossi – esclusivamente per farli mangiare dagli animali all’interno dell’area parco tanto da creare un vero e proprio nuovo reddito aziendale con i soldi che ‘Pantalone’ paga. Nel contempo sono autorizzati, sempre dall’ente parco, a catturare i cinghiali con gabbie di cattura non costruite a regola d’arte per la sicurezza dell’operatore e vietate dalla Legge sulla caccia, di macellarli in strutture private e vedere la carne per libero consumo, oppure venderli vivi fuori regione per poi essere abbattuti nelle riserve di caccia. Affari d’oro con la proprieta’ dello Stato, ma non per tutti! Una vera e propria disparita’ di trattamento – denuncia il Cospa – tra imprenditori agricoli ricadenti all’interno delle aree protette e per quei pochi rimasti nelle zone libere. Si spera, pertanto – auspica infine Rossi – che la magistratura aquilana metta fine a queste lobby politiche ed interessi trasversale a danno di chi tra le mille difficolta’ ancora insiste a fare un mestiere diventato un miraggio, grazie a tutte queste leggi e leggine regolamenti e deroghe approvati di proposito, per non risolvere nulla, ma in grado di mettere in difficolta’ chi da sempre lavora onestamente senza lucrare sui problemi della societa’, con l’aiuto della politica corrotta e malata”.
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