Comune e bilanci appesi ad una promessa
L’Aquila – In un paese normale, quindi non certo da noi, alla parola del Governo bisogna credere. In un paese normale, tuttavia, non accade che un capoluogo di Regione (a parte Roma Capitale) da ricostruire dopo un terremoto, il Comune rischia bancarotta e scioglimento perché non ha i soldi per i bilanci. Non li ha perché il Governo non ha provveduto ad una riassetto dei conti devastati da maggiori spese e minori entrate, dovuti al sisma.
Altrove, in un paese normale, lo Stato non riduce sul lastrico una città solo a causda di ritardi e rinvii, e poi manda quel che deve mandare, senza lesinare e contrattare come un venditore di auto usate del Minnesota. Chiedi 24, poi scendi a 18, ma ti dò 16, parola…
In una città normale – quindi non L’Aquila – in uno scenario così grottesco, i partiti , infine, non starebbero lì a litigare come popolane trasteverine a fine Ottocento. Direbbero: salviamo il Comune (e la dignità ) e poi, magari, pensiamo a demolire il sindaco o ad altre amenità di quelle che deliziano i politici e colmano i loro bisogni culturali. Litigare, insultarsi,cercare battute, procacciarsi una poltrona o uno strapuntino, magari anche qualche gettone che non fa mai male.
Prima di tutto dovrebbero venire dignità e interesse collettivo, per sospingere comunque la ricostruzione.
Ma siamo attaccati a 16 milioni promessi ad horas, e a chi spera che non arrivino per affogare il sindaco e il suo partito.
Roba da pazzi? No, quotidianità desolante.
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