Eros, castità, meraviglia fra antichi pensieri
“Noi stacchiamo dalla totalità di Eros una determinata faccia: le attribuiamo il nome del complesso e la chiamiamo eros. Per le altre facce usiamo dei diversi nomi”…”Per concludere, ogni ardente voglia di bene e di beatitudine è, per chiunque, il sublime e furtivo eros. Ma quelli che si dirigono a lui per altre strade e varie – operazioni finanziarie, esercizi atletici, intimità con la cultura – non sono normalmente definiti né soggetti, né oggetti d’eros; ma solo quelli tesi appassionatamente a una determinata faccia si prendono il nome del complesso eros, soggetti e oggetti d’eros”
Platone, Sympsium, I, 3.
“La natura non avrebbe potuto compiere così grande opera in poco tempo senza l’intervento di Dio. Chi ha composto la fragile sostanza delle ossa? Chi legò insieme le membra ai muscoli perché si tendessero e si rilassassero piegandosi alle articolazioni? E qual dio fece lievitare il succo impregnandolo col sangue e trasse la carne molliccia dalla terra, se non un unico ottimo artefice, che creando l’immagine di sé razionale e l’uomo vitale, che siamo noi, plasma nel grembo partendo da pochissime e umide gocce di seme? Chi è colui che si prende cura perché il feto non sia soffocato dagli umori e dallo stretto ambito in cui è racchiuso? Chi, dopo il parto e l’uscita alla luce, conferisce grandezza, bellezza e vigore a ciò che è piccolo e debole, se non proprio quell’ottimo artefice, come ho detto, cioè Dio che con la sua potenza creatrice mette in atto le sue idee confermandole a Cristo”
Metodio di Olimpo, Symposium, II, 2.
“ Ma noi, chi siamo noi e cosa vuol dire noi?”
Virgilio, Eneide, IV, 4.
“Je crois que l’on naît platonicien, comme on peut naître athée, matérialiste, etc. Mystère insondable des choix préexistentiels”
H. Corbin, Post-scriptum biographique à un Entretien philosophique.
Il corpo è per l’anima come una prigione, in cui essa cade per colpe precedenti e da cui deve liberarsi nel modo più completo, per tornare a contemplare le idee in tutta la loro purezza ed a vivere nel mondo iperuranio[1]: la vita del filosofo si delinea così come una “preparazione” alla morte, come una costante purificazione da ciò che è corpo e sensibilità, e cioè dall’opinione nel campo della conoscenza e dal piacere nel campo della vita morale. Questa esigenza mistica ed ascetica, tuttavia, convive in Platone con l’altra, tipicamente greca, mondana ed eudemonistica. Così, da un lato, il filosofo si configura come il perfetto “politico” e, dall’altro, come il perfetto “amante”: egli ama la sapienza, proprio perché non la possiede ma la desidera, ed è perciò intermedio tra il sapiente (Dio) e l’ignorante. In questo senso, il filosofo è l’incarnazione dell’amore del bello e del bene, ma anche della mancanza di essi (e per questo li desidera). La
[1] Il mondo degli enti sensibili è il mondo che l’uomo ha davanti agli occhi quotidianamente, in cui gli enti, le cose esistenti, si generano e si distruggono, deperiscono; il mondo delle idee, chiamato da Platone Iperuranio, è quindi il mondo in cui risiedono le idee eterne e immortali alle quali gli enti terreni e corruttibili partecipano in diversa misura. L’Iperuranio si trova al di là della volta celeste, in una regione da sempre esistente al di là del tempo e dello spazio, è il vero e proprio “caveau” delle matrici, la dimora dei concetti eterni e incorruttibili che rappresentano l’immagine perfetta delle cose terrene. Mondo delle idee pure, l’Iperuranio ricorda il Cielo Anteriore della visione Tradizionale Cinese.
Mancanza, la privazione, non che essere una nota negativa (secondo quel tipo di valutazione che di frequente è anche platonico), è un elemento positivo, dialettico, senza il quale éros non potrebbe svolgere la sua funzione, onde la sua mediazione non è statica equidistanza da appositi estremi, ma prassi, attività. Questo è il senso dello stupendo mito di Eros: non Dio, ma neppure mortale, nato, durante le feste di Afrodite, da Ingegno (Poros) e da Povertà (Penìa), Eros ha entrambe le nature dei suoi genitori e perciò è intermedio (metaxy) tra la divinità e gli uomini, tra l’abbondanza e la miseria, tra la soddisfazione e il desiderio, tra l’immortalità e la morte. Eros non rappresenta un’esperienza determinata, ma la condizione di ogni esperienza: il suo fine è di “rendere l’universo collegato in sè intrinsecamente”; esso è pertanto l’universale desiderio ad un “perpetuo possesso del bene”, che ha in se stesso, nel suo appagamento, il suo fine assoluto: la felicità. Eros è desiderio della “generazione e procreazione nella bellezza”: generazione secondo il corpo, per mantenere la specie; secondo lo spirito, per produrre virtù e sapienza; alla mancanza, alla incompletezza proprie di chi ama torna a contrapporsi così l’assoluta perfezione e autarchia dell’oggetto amato. In tal modo éros si presenta come un’”iniziazione”, come un’ascesa progressiva verso la rivelazione dei misteri “perfetti e contemplativi” e verso la conquista di un valore assoluto: dapprima l’amore per un bel corpo e poi l’amore per la bellezza corporea, per le belle anime, per le belle opere dell’attività umana e soprattutto per le leggi, per arrivare all’amore per le belle scienze. Terminata così l’iniziazione si ha “d’improvviso” la rivelazione della bellezza “in sé”, eterna e immutabile[i] [ii]. John M. Rist ha dimostrato a più riprese come la nozione diventata ormai comune di eros come di un desiderio o amore esclusivamente appetitivi, non esista nei testi platonici[1]. Secondo Rist, in ambito pagano, dopo Platone, il concetto di eros aveva sviluppato delle valenze non del tutto estranee a Platone, ma da Platone non apertamente esplicitate[iii]. Al di là dello sviluppo prettamente filosofico (soprattutto in Plotino[2] VI, 8, 15[iv] [v]), bisogna sottolineare che Apuleio[vi], personificando in Cupido
[1] Il Simposio di Platone (Atene, 427-347 a.C.) è una delle opere in assoluto più belle della storia della filosofia e della letteratura in generale. Siamo ad Atene, in una cena tra amici intellettuali, alcuni dei quali rimarranno famosi tra i posteri, come il filosofo Socrate e l’autore di commedie Aristofane. Alla fine della cena, tra un bicchiere di vino e l’altro si apre una discussione volta a celebrare le qualità di Eros, considerato il dio dell’amore (bisogna ricordare che le divinità greche erano la personificazione di fenomeni naturali e di caratteristiche umane). Ultimo a parlare sarà Socrate, ma il suo discorso diventerà un monumento tra i trattati di filosofia.Socrate si contrappone ai suoi interlocutori affermando che Eros non è un dio. Come potrebbe esserlo, se rappresenta il desiderio di raggiungere e possedere la bellezza. Questo desiderio è l’effetto di una mancanza, Eros non è bello né è sapiente, ma desidera esserlo. Gli dei sono perfetti, quindi non desiderano essere qualcosa che già sono. Conclusione di Socrate: Eros è un demone, cioè un essere che non è né divino e né umano, ma si colloca tra i due estremi a fungere da tramite. Così Eros non è né bello né sapiente, ma neppure ignorante o brutto, è un filosofo, cioè uno che aspira a raggiungere la sapienza e la bellezza, che per Platone non è separata dal bene morale. Ma se la passione erotica ha un carattere così universale, come mai si dice che alcuni amano ed altri no? ” Eros è una passione avente valenza universale perché il suo fine, in definitiva è raggiungere il bene, in modo continuativo, per essere felici.
[2] L’ Uno di Plotino é l’ erede del principio supremo della filosofia platonica , ossia il Bene in sé , la cui caratteristica fondamentale era di essere ” superiore all’ essere per dignità e potenza “. L’ Uno é esattamente la stessa cosa : é un qualcosa al di sopra dell’ essere. Da notare che Plotino ammette una teologia negativa: infatti l’ Uno , che di fatto é il dio per Plotino , non lo chiama dio perchè cadrebbe in errore ; chiamarlo Uno é la maniera meno sbagliata di definirlo , in quanto si tratta di una realtà superiore all’ essere , a tutto quanto e , come già aveva detto Platone nel “Parmenide”, non può neanche essere nominato , perchè così facendo non sarebbe già più un principio unico. L’eros è per Plotino qualcosa che nel’uomo ricorda l’autointuzione.
L’Uno, ossia la conoscenza diretta e non mediata : una sorta di coglimento immediato di sé , in cui soggetto e oggetto non sono distinguibili nè numericamente nè concettualmente. Esattamente nel momento in cui l’ Uno si autointuisce emana qualcosa . Per esprimere meglio il concetto Plotino usa una metafora ( pensiamo a Platone e a tutte le sue metafore ) , quella della fonte luminosa e della luce che si espande intorno : immaginiamoci una candela accesa in una stanza buia : l’ Uno é la candela , la realtà la sfera luminosa che si espande intorno. L’ altra metafora che Plotino usa é quella della fonte e il ruscello : la fonte é l’ Uno e il ruscello che scende a valle é la realtà ; oltre all’ idea di emanazione , già presente nella metafora della candela , va qui notata un’ altra cosa : ossia il tipo di rapporto tra Uno e realtà : la metafora suggerisce che la fonte é sì diversa dal ruscello , ma che tuttavia non c’é l’ atto creatore : l’ essere procede fuori dall’ Uno senza una vera e propria cronologia : é solo in termini logici e avviene all’ eterno , a differenza di quanto dice il cristianesimo ) ; la metafora suggerisce anche che non ci sarà mai netta separazione tra Uno e realtà : non si può concepire la fonte senza il ruscello e viceversa : il concetto di processione emerge molto meglio in questa metafora , che non in quella della candela. L’eros è per Plotino una forza intermedia fra trascendenza platonica ed immnenza dello stoicismo, è emazione, rocessione, sviluppo di cose che escono procedendo una a una.
Ed ancora, nella parabola delle dieci vergini di Metodio[1] si narra di fanciulle caste ma anche piene di desiderio, di entusiasmo, di euforia, di ironia: Eubulion stava cercando Gregorion desiderosa di conoscere (Prol.) cosa si sia detto della riunione delle vergini; la sua curiosità spinge Gregorion a non tralasciare nemmeno i dettagli. Gregorion la rimprovera bonariamente dicendo che è sempre tremendamente desiderosa di sapere. Riesce ad eccitare il desiderio delle altre senza arrivare al litigio. Si afferma sommariamente come le vergini si siano cimentate in modo stupendo e incisivo. Gregorion a sua volta è piena di entusiasmo e facile quindi alla delusione; prova però molta euforia e si compiace a dare notizia del colloquio; cammina in fretta e non vuole farsi precedere per dare la notizia. Gregorion si lamenta dell’asperità del cammino e della fatica, probabilmente è anziana (cfr. III,14). Alla fine Gregorion emerge con la sua fierezza ed Eubulion per la sua amenità e ironia[i]. nel caso di Metodio il concetto di hagnéia risulta essere assai vasto, articolato e del tutto originale, non traducibile con verginità almeno nel senso generico che oggi si lega al termine[ii]. Non si può comparare Metodio direttamente con il concetto di eros platonico senza tenere presente il tramite costituito dal Commento al Cantico di Origene. Da questi del resto Metodio deriva la sua doppia interpretazione allegorica della sposa: essa è sia la chiesa sia l’individuo. Ma qui le dipendenze si fanno problematiche, perché se da una parte tutta l’esegesi e alcuni temi metodiani respirano ancora un’aria alessandrina o l’impostazione origeniana, dall’altro sappiamo che Metodio si pone in modo critico rispetto ad Origene e ad alcuni suoi assunti:uno di questo sembrerebbe essere anche il concetto di eros così come Origene lo aveva appunto fatto entrare nel suo prologo al Commento al Cantico. D’altra parte è noto che, l’esegesi metodiana, che accoglie i presupposti di quella origeniana, lascia cadere quello forse più qualificante: la convinzione che tutta la scrittura sia passibile di allegorizzazione. Rispetto ad Origene, Metodio sembrerebbe fare infatti un passo in più o forse semplicemente diverso. Mentre Origene aveva accolto la parola eros in campo teologico riferendola o adattandola ad una realtà cristiana (in questo caso un appellativo stesso di Dio) Metodio «sostituisce» la parola eros con quella di hagnéia. Un tale ribaltamento però non avviene solo, come era stato in Origene, trasformando di significato la parola eros, ove abbiamo il caso che uno stesso significato viene ad avere due termini o modalità di espressione; a nostro parere infatti in Metodio non vi sarebbe una semplice sostituzione di parola, ma uno slittamento semantico nel concetto di eros che implica tra l’altro anche un corrispettivo ampliamento semantico del concetto di castità = hagnéia. Dunque — è il centro della presente argomentazione — il termine hagnéia in Metodio arriva a significare insieme l’eros celeste platonico, l’agape neotestamentaria, la continenza e la verginità vera e propria. Sulla base di questa supposizione, anche tante immagini e la struttura stessa del testo metodiano, costruita ad arte, si mostrano come un continuo dialogo con, assunzione di, critica e trasformazione dei significati platonici[iii]. la fecondità (e quindi l’eros) della coppia umana è contemplata quale strumento della perenne fecondità di Dio: il Creatore continua a plasmare l’uomo perennemente. In una visione così positiva viene posta l’obiezione circa i figli concepiti o nati da rapporti illegittimi (cioè da adulterio), figli che spesso, nella cultura del tempo, venivano abortiti o esposti. L’autore è molto sicuro nel distinguere tra la condanna del rapporto adulterino e la sorte riservata a questi piccoli innocenti, concepiti comunque per l’intervento di Dio Creatore: “Ne consegue che, secondo ciò che abbiamo appreso nelle Scritture ispirate, quanti nascono, benché frutto dell’adulterio, sono consegnati a degli angeli curatori”. Tornando ora ad eros, nel senso platonico-socratico più autentico e pieno, esso è il fondamento dell’impulso vitale, il poter procreare, rinnegando la morte[2]. Questo desiderio di dare vita ci garantisce una qualche forma di eternità, ma, secondo Platone, non è da intendersi in chiave esclusivamente fisica. Si può anche rimanere incinti nello spirito, dando vita alle opere del pensiero, che ci garantiscono la vera eternità, e alla possibilità di poterle comunicare agli altri (qui Platone offre una celebrazione erotica della funzione pedagogica). In definitiva, l’eros, ovvero la passione amorosa, intesa in senso lato (non escludendo con ciò la vita di coppia), è l’espressione del nostro desiderio di trascendenza. Il punto di partenza è l’eros per i corpi, quello di arrivo, dopo essere passati per le belle anime, le belle scienze, le belle leggi ed istituzioni, è l’idea assoluta di bellezza (che è tutt’uno con il bene). Trattandosi di idee perfette, possono essere solo considerate come utopie, che però danno una direzione coerente alla nostra vita nella direzione della crescita e della trascendenza[iv]. In definitiva da Platone e Plotino si comprende che l’eros ha molte facce, come diverse sono le facce della nostra anima che, come uno specchio rotto, moltiplica le immagini all’infinito: se l’ idea di cavallo[3] é una , essa nell’ anima viene moltiplicata e ci sarà il cavallo bianco, quello nero, quello grosso, quello piccolo e così via. Da loro e dalla patristica cristiana, come da Protagora e da Porfirio, apprendiamo che l’eros non né buono né cattivo, poiché non esistono in assoluto le categorie del “bene” e del “male” [v]. Nulla di per sè é male, il male é mancanza di bene, il luogo ove l’emanazione dell’ Uno non riesce ad arrivare con la sua luce che è eros. La luce , si è detto, deriva dall’Uno e dal suo amore emanate, desiderante, sicchè più essere c’è più c’è bene e più eros c’è (come passione e amore) più si è vicini alla emanazione del bene. La vita è una difficile scalata in cui l’uomo, mosso dall’eros che è segno della fiamma divina in lui, deve scavare nella propria anima finché non arriva all’estasi[4]. Non si tratta di rinnegare la ragione e la morale a favore della passione, ma solo di chiarire che, nella vita autenticate vissuta, razionalità e passione non hanno confini netti e non sono antagonisti. Come per Ippocrate[5] la salute (anche morale e spirituale) deriva dall’armonica mescolanza delle più diverse qualità, dall’equilibrio fra forze contrastanti[vi]. Senza eros, senza passione, il sapere diviene tecnica e, pertanto, svuotato di autentici contenuti di progresso.
Nel I libro de La Repubblica di Platone assistiamo allo scontro fra Socrate ed il sofista Trasimaco: l’affermazione con la quale quest’ultimo esordisce nel dialogo è l’accusa mossa al maestro di Platone di essere capace unicamente di porre domande piuttosto che di fornire risposte e, di conseguenza, l’esposizione della convinzione sofistica secondo la quale il domandare è sicuramente più facile del rispondere. La vera differenza di Socrate rispetto ai sofisti consiste nel primato che egli assegna al domandare rispetto al rispondere. Questo ci porta a mettere in dubbio che la vera antinomia ed il vero problema intorno al quale si gioca il futuro dell’istruzione sia legato al contrasto fra eros e techne, cioè fra passione umanistica e formalismo scientifico, economico e oggettivante. L’aspetto più decisivo ed affascinante, concordiamo con Hillman, dell’insegnare/imparare, rischia di perdere mordente e importanza se diventa unicamente un’esortazione alla conservazione della purezza archetipica della meraviglia che guida l’apertura della mente umana verso la realtà o se pone come proprio punto di riferimento l’idea di valore come barriera al nichilismo etico[1]. Grazie all’eros e alla meraviglia dello scoprire, l’uomo si proietta verso il futuro come progresso e non come sviluppo, per dirla con Pasolini[2], come marcia verso mondi e modi migliori e non solo accaparramento e consunzione di risorse. Di questi concetti siamo figli e ne portiamo la fiamma (ed il peso) culturale.
[1] Massida G.: “Techne ed eros”. Risposta alla “lettera agli insegnanti” di James Hillman, http://www.apefassociazione.it/CentroStudi/021203RispostaHillman.htm, 2003.
[2] Di Stefano G.: Cercando Pasolini trent’anni dopo, Ed. La Città del Sole, Napoli, 2006.
[1] I fratelli Cirillo e Metodio sono venerati come santi sia dalla chiesa cattolica che da quella ortodossa. Originari di Tessalonica nell’Impero Bizantino (oggi in Grecia), evangelizzarono la Pannonia e la Moravia nel IX secolo. S. Cirillo è l’unico a riportarci testimonianze su Metodio. Secondo quanto Girolamo riporta nel Contra Rufinum 1, 11, anche Eusebio nomina Metodio e precisamente nel libro VI aggiunto da lui all’Apologia scritta da Panfilo (accusandolo di voltafaccia nei confronti di Origene e forse per questo motivo non lo inserisce nella sua Hist. Eccl.), ma lo stesso Eusebio riporta poi un passo di Metodio dal De libero arbitrio che tuttavia attribuisce ad un certo Massimo (probabilmente o lui o uno dei sui copisti ha forse scambiato il titolo di un opera con l’autore), cfr. Timothy David Barnes, «Methodius, Maximus, and Valentinus»: Journal of Theological Studies NS 30 (1979) 47-55, in particolare 51 e 54; Emanuela Prinzivalli, L’esegesi di Metodio d’Olimpo, Roma 1984, 10, n. 6; L. G. Patterson, Divine Sovereignty, Human Freedom and Life in Christ, Washington 1997, 16. Metodio è nominato inoltre da Epifanio e dal lessico della Suda. Il Symposium è l’opera principale di Metodio, ed ha una forma dialogica. Nell’opera, dieci vergini intervengono successivamente sul tema della verginità: un po’ tutto il secondo discorso, messo sulla bocca della vergine Teofila, concerne il bene della fecondità e della procreazione Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Santi_Cirillo_e_Metodio e http://it.wikipedia.org/wiki/San_Metodio_di_Olimpo.
[2] “…In questo ambito, infatti, per ragione identica a quella d’eros, la fibra che ha in se la morte, cerca con tutte le sue forze d’esistere per sempre, rinnegando la morte. Può farlo per una strada sola: dare vita. …”
[3] Nous, l’intelleto, ossia la forma più elevata e sublime di essere.
[4] Il percorso dalla materia al vuoto, dal Jing allo Shen attraverso il Qi, fino alo Xu, ci cui ci parla l’alchimia interna del pensiero cinese antico.
[5] Concetto ripreso dagli insegnamenti di Alcmeone di Crotone, il quale aveva espressamente affermato che “la salute dura fintantoché i vari elementi, umido secco, freddo caldo, amaro dolce, hanno uguali diritti [isonomia] e che le malattie vengono quando uno prevale sugli altri.
[i] Zorzi B.: La personalità delle vergini e l’epilogo del Simposio di Metodio d’Olimpo: una critica all’encratismo, http://mondodomani.org/reportata/zorzi03.htm, 2003.
[ii] Zorzi B.: Castità e generazione nel bello. L’eros nel Simposio di Metodio d’Olimpo, http://mondodomani.org/reportata/zorzi02.htm#rif36, 2003.
[iii] Normando A.: Metodio d’Olimpo, La verginità, Ed. Testi Patristici, Roma, 2000.
[iv] Nistri R.: L’ eros platonico. Antologia per il triennio, Ed. Scorpione, Roma, 192.
[v] Maddalena A.: Presocratici: testimonianze e frammenti, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1983.
[vi] Spagnolo A.G.: La medicina come modello dell’etica di Aristotele, Anfidus, 1992, 16: 31-40.
Bibliografia
[i] Ficino M.: Théologie Platonicienne, Ed. Societé d’ Editions Les Belles Lettres, Paris, 1966.
[ii] Whittaker T.: The Neo-Platonists. A Study in the History of Hellenism, Ed. University Press, Cambridge, 1901.
[iii] Rist J. M.: A note on Eros and Agape in Pseudo-Dionysius, Vigiliae Christianae, 1966, 20: 235-243.
[iv] Procopio A.: La salvezza in Plotino, Ed. Aracne, Roma, 2005.
[v] Hillman J.: Plotino, Ficino and Vico as precursors of archetypal psychology, in Loose Ends, Ed. Spring, Dallas, 1975
[vi] Nicolini L. (a cura di): Apuleio. Le metamorfosi o L’asino d’oro. Testo latino a fronte, Ed. Rizoli-BUR, Milano, 2005.
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