I racconti della tempesta sismica
IL MIO TERREMOTO
di Giusi Pitari
giusi.pitari@fastwebnet.it
L’Aquila – Ospitiamo volentieri interventi dei lettori sulla tempesta sismica che ha martoriato la città e la provincia a partire dal giorno più tragico, il 6 aprile alle 3,32. Ecco il racconto della professoressa Giusi Pitari dell’ateneo dell’Aquila.
“Il terremoto è paura. Per sé e i familiari che urlano, forse non so non ricordo, poi la scossa si affievolisce e via, tutti via, presto, scarpe, cappotto, chiavi e … borsa con telefonino e sigarette. Si scende per le scale al buio, tutto il palazzo, insieme ai calcinacci. Paura per chi ti sta vicino, poi in strada per chi ti sta lontano. Paura perché i telefoni non funzionano. Paura, qualcuno ci raggiunge e ci dice che è vivo, la casa? non sa. Paura, in macchina di chi ti raggiunge, paura negli occhi dei parenti che raggiungi. Paura, gli allarmi, la luce le prime notizie alla radio. Paura, tutti uniti ma ancora non consapevoli della tragedia. Paura, quando si rientra da incoscienti in casa a prendere almeno un cambio e le chiavi della macchina. Paura, quando increduli arriviamo in centro, persone che si aggirano sole, con gli occhi vuoti. Non ne ricordo il nome, ma il terrore. Ricordo la paura al Parco del Sole, sdraiati sul prato con gli elicotteri su di noi, gli aerei le sirene e l’interminabile viaggio da sfollati a Roma. La notte insonne con la paura che ogni piccolo movimento fosse di nuovo lui, che ti insegue. Paura, il giorno dopo alla tendopoli, di tutti, compreso chi ti aiuta.
Poi comincia una reazione e cominci a darti da fare, almeno nel parlare con la gente. Cominci a telefonare agli amici per far portare al campo di piazza D’Armi le mutande, le salviettine igieniche, gli assorbenti da donna, il cibo per celiaci. Cominci e non ti puoi più fermare. Vedi gli amici tutti accampati anche al di sotto delle proprie case. Cominci a pensare al dopo, paura, sconforto.
E ti accorgi che nella tendopoli ci sono tante telecamere, fotografi, vai all’ingresso e scopri che ci sono ben due gazebo pieni di telecamere e troupe televisive. Provo imbarazzo o meglio schifo. Un grande set cinematografico sulla paura. Con tanto di dati auditel. Scopro la dignità degli abruzzesi che scansano le telecamere e i fotografi, ma da lontano con i loro zoom ci riprendono e raccontano il loro terremoto. Non è cronaca è spettacolo. Vergogna!. Grandi registi portano disagio e non aiutano. Perché non si è visto, ripreso e intervistato chi sta già pensando di ricostruire di non andarsene di progettare? Perché nell’Università , che già da giovedì aveva approntato un rettorato d’emergenza, vengono giornalisti a chiedere se è vero che ci sono asserragliati ricercatori per proteggere i topi e non ci chiedono cosa stiamo facendo lì?
L’Ospedale non è raso al suolo come dicono, non è vero che ci sono 60000 case lesionate invece che le previste 35000. Chi le ha previste? Come mai siamo 25800 famiglie e le case inagibili sono 60000. Perché dipingete questo? Perché non dite che la scossa sussultoria di 20 secondi più le altre sussultorio/oscillatorie di altri lunghi 18 secondi, sono state devastanti e superficiali tanto che in qualsiasi altra città sarebbe successo tutto ciò. I morti sono tanti, perché la parte medievale è crollata dappertutto, compresi i paesini. I palazzi crollati ci sono stati, sì è pazzesco, ma venite a riprendere e contare quanti stanno in piedi. Perché non dite che antisismico vuol dire che non crolla, non che sarà abitabile? Perché non dite che non c’è una regolamentazione antisismica che preveda, come in Giappone, che anche i tramezzi siano antisismici, che l’arredamento sia ancorato? Avete visto i primi piani dei palazzi? sono tutti lesionati, alcune tamponature esplose, proprio per la scossa sussultoria che ha creato uno schiacciamento dei primi piani, dappertutto. Con crollo di tramezzi, pezzi di arredamento eccetera altrettanto pericolosi che il crollo della struttura. Non fa differenza come muori, se sei nella regola o no. Sei morto.
Non pensavo di amare così tanto la mia città nella quale non sono nata, ma vissuta sin dall’età di diciotto anni. La amo, la desidero, la rivoglio. Voglio il mio bar, i miei negozi, le mie passeggiate, voglio rincontrare per strada gli amici e i miei studenti. Voglio sentire quella maledetta tortora mattutina che non mi dà pace. E che dire della birreria, il cinema il teatro!! Le aziende, le scuole l’università . Voglio la mia bella casa, magari non al quinto piano, ma la rivoglio così. Rivoglio anche i pettegolezzi. Voglio trasmettere a tutti i giovani il desiderio di ricostruire e non arrendersi. Siamo stati bocciati ad un esame, ma sono stati di nuovo istituiti gli esami di riparazione. Cominciano da oggi i corsi integrativi. Fatevi sentire, sono gratuiti.
E voi giornalisti sciacalli dateci una mano, raccontate come siamo forti, come stiamo organizzando la nostra ricostruzione. Come i lavoratori delle aziende sono pronti a entrare e mettere a posto ciò che è possibile, come i negozi stanno riaprendo, come stiamo tornando con qualsiasi mezzo. Come ci stiamo facendo coraggio. Come vogliamo essere protagonisti nella ricostruzione e nella sistemazione d’emergenza. Quando sarà il momento venite da noi, comprate da noi. Non costringiamo i commercianti a chiudere bottega. Sono sicura che una volta messo in sicurezza il centro storico anche un locale sotto una tenda che offra birra, stuzzichini abruzzesi e buona musica avrà successo. Noi Aquilani potremmo tutte le sere girare per il centro ed esorcizzare l’esperienza.
Dateci una mano, cari giornalisti, a puntare sulla ricostruzione di tutto, anche della cultura aquilana. Fate vedere che vi interessate a chi a L’Aquila vuole bene. Dateci voce.
Vedere in TV quello che abbiamo visto, sentire le polemiche su Santoro, ci fa solo sentire soli, abbandonati al nostro destino. Senza speranze, senza futuro. Il futuro è in chi davvero vuole L’Aquila. Ed io la voglio”.
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