San Benedetto abate ad Arischia
L’Aquila – Scrive Luca Capannolo: “Domenica scorsa, con un po’ di ritardo, è tornata ad Arischia la consueta festa di san Benedetto abate, patrono principale della frazione aquilana. Lo spostamento della memoria del 21 marzo è stato causato dalla coincidenza della data con l’inizio della Settimana Santa. Quest’anno la ricorrenza ha avuto un sapore ancora più gioioso per l’avvio dei tanto attesi lavori di restauro post sisma dell’abbazia. Come tradizione la giornata è stata aperta di buon mattino dai fuochi pirotecnici alla quale è seguito il giro bandistico per le vie del paese. La Messa è stata celebrata sul sagrato dell’abbazia dal parroco abate di Arischia, il canonico don Titus Ezenyimulu, dal francescano padre Carmine Serpetti, originario del paese, e dal giovane sacerdote don Federico Palmerini. Al termine della celebrazione si è tenuta la consueta processione per i quattro quarti del paese a cui hanno fatto seguito la commemorazione dei caduti in guerra, la distribuzione del pane benedetto e i fuochi pirotecnici.
Nel pomeriggio sulla piazza principale lo storico locale Abramo Colageo ha tenuto una breve conferenza sulle origini del culto di san Benedetto ad Arischia a cui è seguita l’esibizione dei Bandierai dei Quattro Quarti, uno spettacolo itinerante attorno all’abbazia volto ad abbracciare simbolicamente il monumento che solo in questi giorni vede l’inizio del restauro. La giornata si è conclusa con la degustazione delle tradizionali pizze fritte della frazione in piazza Duomo.
La festa di san Benedetto, pur affondando le origini nell’antichità del paese, riesce ancora a parlare e a dare molto al mondo contemporaneo: ad Arischia il culto di san Benedetto si innesta sull’incontro di due culture, o meglio di due religioni, quella islamica delle donne saracene che trovarono riparo in loco e quella cristiana riproposta dei monaci benedettini che ricristianizzarono il posto dopo la prima evangelizzazione operata dai monaci equiziani. L’incontro tra le due culture non portò a scontri ma alla pacifica convivenza delle fedi e all’integrazione, tanto che l’abbazia cristiana nascente non esitò ad assumere un simbolo musulmano, la mezza luna e la stella, al quale la cittadinanza aggiunse anche l’emblema della mano aperta, identificato indebitamente da alcuni come simbolo benedettino, molto probabilmente invece rappresenta la famosa mano di Fat’ma, un amuleto ancora molto usato dalle donne musulmane.
Un esempio quello arischiese che può fare sperare nella pacifica convivenza delle religioni, in un periodo in cui serpeggia il timore è il sospetto dell’altro, specialmente se straniero e di fede differente. La vocazione all’accoglienza della frazione aquilana continua ancora, visto che in paese sono presenti giovani migranti, nella maggioranza musulmani, accolti come furono ospitate nella prima migrazione le donne saracene che diedero origine ad Arischia.
La buona riuscita della festa è stata possibile grazie all’interesse e all’impegno del parroco don Titus Ezenyimulu e del giovane Comitato Festa.
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