Doni ai defunti, l’archeologia dimostra le sue radici antichissime
NELLA NECROPOLI DI CELANO COME NEI PAESI DELL’AQUILANO ANCORA OGGI -
L’Aquila – (G.C.) – L’iniziativa archeologica di Celano, mostrare reperti di doni ai morti nella locale necropoli, è culturalmente di grande rilievo e rappresenta anche la prova di una tradizione di oltre venti secoli orsono, che tuttora sopravvive in Abruzzo pressoché immutata.
Nei paesi del territorio aquilano a Nord del capoluogo, in terra che fu la patria di origine dei Sabini (Valle dell’Aterno e in particolare Barete), il 2 novembre i vecchi usano ancora portare in chiesa ceci, fagioli, lenticchie, grano, patate, mandorle, noci, e altri doni “per i morti” che si depositano dentro la chiesa. Ovviamente, non li consumano i morti, ma i preti e le loro perpetue, ammesso che ne esistano ancora. E’ l’offerta ai defunti, accompagnata dall’uso di accendere lumini e candele quasi a rischiarare il loro cammino nelle tenebre, durante la notte del ritorno. La notte dei morti.
Un’usanza in estinzione, che trovba a Celanbo le sue radici in area abruzzese. Nella necropoli marsicana la gente portava doni ai suoi morti, spighe di grano, sale, pane e altre piccole offerte in anforette di creta e piattini. Non lo faceva il 2 novembre, ma il 21 febbraio, nel rito detto “feralia” alla fine per perdiodo detto “pentalia”. Feralia viene dal verbo latino “fero”, portare: un significato chiarissimo. Fili lunghi millenni legano il presente ad un passato millenario, nel quale la devozione popolare non è cambiata. Un significato culturale che solo il fascino dell’archeologia può proporre. Eppure, in questo nostro paese ignorante e masochistico, l’archeologia vive di stenti, pochissime risorse, sporadiche generosità. Meno male, almeno quelle…
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