Quella lontana guerra: per non dimenticare
di GIANFRANCO GIUSTIZIERI
Le molteplici iniziative editoriali che riportano all’attenzione dei lettori i tragici avvenimenti della Grande Guerra con oltre 600.000 caduti e un milione di feriti solo per il nostro Paese, sono un doveroso omaggio alla memoria per i tanti territori nazionali che contano nomi ed episodi altrimenti destinati a cadere nell’oblio.
Ogni regione dette il suo contributo in termini di dolore e di sangue, dalla più grande città al più piccolo paese; in ogni luogo troviamo una lapide, un monumento, una scritta, un segno, per non dimenticare.
E i libri. I libri narrano, raccontano, raccolgono ciò che il segno non può lasciare. Ripercorrono la memoria, rintracciano i documenti, rimettono insieme le tesserine di un grande mosaico, lasciano alle successive generazioni lo scrigno in cui sono racchiuse le storie individuali ma anche la Storia.
Una narrazione che può assumere caratteristiche diverse: documenti e testimonianze messi insieme con rigore filologico e interpretati oppure raccolti con una sensibilità letteraria, direi quasi poetica.
Ho avuto questa seconda impressione nella lettura del testo di Alfredo Fiorani “L’immortalità delle vittime. Gli abruzzesi alla grande guerra”, Di Felice Edizioni, 2015.
Tutto il narrato “[…] sin dall’inizio, non c’era stata sosta alla tragedia. Né estate né inverno. Né domeniche né feste comandate. Né Natale né Pasqua. […]” è ripreso dall’autore secondo una personale e profonda esperienza letteraria che non snatura la fonte ma la raccoglie con un tratto di scrittura comprensivo degli accadimenti esaminati. Le pagine raccontano le storie personali, i primitivi valori, gli stati d’animo e le emozioni, le energie e le verità individuali, la semplicità e la purezza, il sacrificio finale di persone che hanno creduto o si sono affidate al loro tempo: avvenimenti del passato consegnati a noi dal pensiero riflessivo dell’autore.
Così la lettura ci conduce agli eroi narrati dalla grande Storia come Andrea Bafile, Nazario Sauro, Francesco Rossi ma anche a quel Francesco Filippo di Vincenzo nativo del piccolo paesino di Montazzoli che quasi avvertendo la prossima fine scriveva al padre Vincenzo: “[…] Questa sera, questa notte, domani il mio pensiero sarà più che mai con te, con voi tutti. Io sono sempre forte nella sicurezza del nostro ideale, son sicuro di me stesso. Baci, baci forti a te, mamma, Teresa, Laura, zii e zie. Dall’aff.mo tuo Filippo” oppure a tal Ettore Di Clemente da Caporciano che in un italiano confuso ma schietto commentava nel suo diario personale: “Questogi si troviamo in trincera tutti fracichi bagnati distanti dal nemico circa 100 metri. Latutto un bosco di pini abete. Come si vede qualche tedesche incire ispariamo essifa cadere a terra. Ora sto scrivente coi piedi bagnati eggelati”. Tre mesi dopo moriva per una ferita alla gamba in cancrena impossibilitata a curare.
Una serie lunghissima di paesi abruzzesi, ognuno con la propria memoria, dove il racconto diviene testimonianza di un conflitto immane, dove l’artiglieria, le bombe, le baionetta, le trincee costituiscono il simbolo della narrazione letteraria che diviene il documento per la storia.
Al centro il contributo di un territorio spesso dimenticato, di una popolazione sconvolta dall’avvento della guerra che se “[…] è stata proprio la terra abruzzese a trovarsi a pagare, ben più di altre, un prezzo salato, testimoniato anche da un rapporto tra popolazione e mobilitati tra i più elevati su base nazionale, capiamo subito come l’uscita a stampa del lavoro di Fiorani sia una buona notizia” come lo storico Enzo Fimiani nella prefazione al libro.
Non mancano anche rivelazioni sconosciute ai più: d’Annunzio, poeta, scrittore, soldato, acclamato dall’Italia nazionalista, interventista da sempre, orgoglio italiano di allora, quello stesso d’Annunzio che non esitò, dopo la disfatta di Caporetto, a lanciare un suo scritto contro gli italiani delle trincee: “imboscati d’oltralpe…non aventi diritto alla gloria” allineandosi alle parole giustificative di Luigi Cadorna, uno dei principali artefici del dilagare austriaco.
Inoltre altri eventi di quel tempo da non dimenticare: il terremoto della Marsica con l’abnegazione di volontari soccorritori tra cui primeggiò Nazario Sauro, predestinato a morire nell’ormai imminente guerra e “la spagnola”, terribile pandemia, chiamata così per allontanare il sospetto da altre fonti per un flagello, forse, provocato.
Dieci capitoli in terra d’Abruzzo, dieci capitoli di una terra di periferia, molte storie di piccoli e grandi eroi, tanti racconti di dispersi o ritrovati, pagine conoscitive di caduti e onorati, tutti consegnati all’immortalità della memoria che un segno, qualsiasi segno possa ricordare: “[…] Estendere a tutti i caduti d’Italia. A tutti i caduti d’Abruzzo. Eroi sopra ogni dubbio. […]”
Non c'è ancora nessun commento.