“Alle due e mezza pronti…”
L’Aquila – Scrive Franco Taccia: “La frase del titolo era l’ultima cosa che dicevo ad ognuno dei “prescelti” .
Perchè ogni sabato presente sul calendario, a partire dalla chiusura delle scuole fino a quando ricominciavano le lezioni, era prevista la “partita” al campetto nei pressi di Onna, vicino alla ferrovia.
Campetto di circa 20 metri per 60, delimitato, sui due lati più lunghi, dalla ferrovia da una parte e dalla strada per Pescara dall’altra. Dietro le porte (sassi, maglie e borse a mo’ di pali) c’era una stradina sterrata che passava sotto i binari grazie ad un piccolo ponticello e sull’altro versante una muraglia di cespugli e rovi che impedivano fortunatamente al pallone di finire nel retrostante canale; e quando non lo impedivano erano dolori per il disgraziato che aveva tirato la ciabattata visto che l’acqua non era di sorgente.
All’inizio ho scritto della frase “alle due e mezza pronti” perchè ero io l’organizzatore, quello che rompeva le scatole a tutti per essere sicuro della loro presenza sul campo, puntuali all’ora fissata anche per evitare incursioni di altri “pretendenti” al terreno di gioco, ed ero anche io quello che, sapendo della sciatteria altrui, portavo sempre due o tre boccioni d’acqua per dissetare la truppa esausta specialmente ad agosto.
Gli automuniti erano al massimo tre, per cui indipendentemente dalla cilindrata, dalla capienza e…. dal fango che ci si portava dietro dopo, con tre macchine si arrivava e con tre si ripartiva, almeno sino all’arrivo dei primi “motorini”. Sempre più o meno i soliti, con qualche piccola variazione dovuta ad impegni improrogabili, tipo febbre a 40° per capirci. Mauro, che aveva una “mini minor” marrone (colore mostruoso), Sergio, LUIGI, mio Fratello CLAUDIO, Antonio, Tony, Gino, Adriano, Piero, Sandro, Giorgio con l’altra mini ma bleu, Pierpaolo, Sandro, Giovanni, Diego, Gianfranco e qualche altro col quale mi scuso se non lo cito perchè la “rosa” era talmente ampia che spesso qualcuno era fatto fuori al momento delle convocazioni.
Due squadre di sei elementi ciascuna, salvo imprevisti….., fatte per sorteggio barando spudoratamente per accaparrarsi i più bravi ed ammollare quelli scarsi all’avversario. Parlavo di imprevisti che erano principalmente di due tipi, ambedue fastidiosissimi. Il primo era l’arrivo imprevisto di “uno di noi” “involontariamente” dimenticato e che arrivando di sorpresa ci costringeva a “squilibrare” tutto e a giocare 6 contro 7. L’altro era un qualcosa di incredibile per come si manifestava, tanto che a distanza di oltre trent’anni, anzi quaranta, ancora se ne parla. Cominciammo a chiamarlo Giggi Riva, perchè era un mancino puro. In pratica questo sconosciuto, che probabilmente abitava nei pressi del campetto e quindi spiava l’inizio delle ostilità , arrivava a partita già iniziata da un pezzo, e senza dire una parola, si inseriva in una delle due squadre cominciando a giocare. Non abbiamo mai tentato di bloccarlo perchè intuimmo che, essendo del luogo, avrebbe magari potuto ostacolarci nell’utilizzo arbitrario del campetto. Finita la partita se ne andava da dove era arrivato, ovviamente senza salutare e senza essere salutato a sua volta.
Tranne quelli ai quali il destino infame ha riservato un cammino più breve, passati gli anni tutti noi abbiamo avuto occasione di transitare da quelle parti e per ognuno vedere il “nostro” campo seminato o con le spighe già alte ha provocato tristezza. La stessa che provo vedendo che oggi a nessuno verrebbe in mente di fare le stesse cose che facevamo “una vita fa”, neppure con la promessa di un panino con la mortadella e un bicchiere di “Fanta” alla bottega di Specchio, poco più avanti.
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