Quando gridare “jeno ‘nnanzi” aveva un senso condiviso
L’Aquila – Jemo ‘Nnanzi, la vivace associazione che si distingue nel marasma aquilano per le sue scelte e azioni intelligenti, espose il suo simbolo sulla Torre di Palazzo, che fu e resterà il simbolo più autentico della casa comunale aquilana. Sotto possiamo oggi aggiungere qualcosa: “…E’ una parola!”, nel senso che appare davvero arduo soltanto pensare di poter salvare il Comune, politicamente in condizioni disperate.
Le inchieste lo stanno bombardando, e poi ci saranno i processi, dunque il decorso della malattia appare presumibilmente lunghissimo. Qualcuno sarà innocente, qualcuno colpevole. Lo sapremo. Sappiamo, invece, che il clima politico è nefasto, e che i veleni serpeggiano. Sappiamo che la cittadinanza è desolata, assistendo a quanto avviene. Se la politica ha sempre viaggiato lungo orbite basse, oggi è rasoterra. L’incombere di una cupola e di poteri occulti (sempre la stessa storia, dai tempi del sindaco Lombardi) è asfissiante. La febbre del tanto peggio, tanto meglio, è bruciante. Con ogni mezzo, anche il più subdolo, si attenta alla credibilità di persone e parti politiche. La ferocia della tenzone non fa pensare ad un impietoso, ma lecito scontro fra idee e fedi, bensì ad una macelleria messicana La storia aquilana ha avuto alti e bassi, forse più bassi che alti. Oggi è una specie di Vuccirìa non pittoresca e vitale, ma da suburra. Chi ha ancora una coscienza, ne faccia uso. Chi non vuole Cialente, lo cacci via con una mozione di sfiducia che impegni tutti a metterci la faccia. Poi scelga uno meglio di lui, se è in grado di operare per il bene collettivo, e non per oscuri ma immaginabili obiettivi. A molti paiono smarriti, nella bolgia attuale, proprio gli aneliti al bene collettivo.
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