La Perdonanza a New York, ANFE al Columbus Day
di Goffredo Palmerini -
L’Aquila – C’è sempre un affanno a riordinare idee ed emozioni, quando si rientra da un viaggio all’estero. Specie quando ormai s’attendono il racconto. E quando capita che si torni d’ottobre da New York, nel periodo di maggior opportunità per essere quello il mese canonico della cultura italiana nella Grande Mela, e del Columbus day più suggestivo e fastoso di tutti gli Stati Uniti, l’impegno a mettere bene in fila incontri, eventi, personaggi ed atmosfere che connotano quella straordinaria città è un esercizio un po’ complesso, anche per chi ha confidenza con la scrittura. Allora i miei quattro lettori non se la prenderanno se il racconto tarda, per l’esigenza di meditarlo, affrancandolo dalla banalità. Perché in ogni viaggio che si rispetti ciascun fatto va guardato oltre l’apparenza, ogni evento deve lasciar traccia, ogni persona arricchisce la nostra dimensione umana e marca la sua impronta. La pioggia che da sabato scorso infastidisce queste giornate aquilane fa da contrasto alle radiose giornate di sole lasciate a New York. Vi ero giunto nel primo pomeriggio del 6 ottobre, con un tranquillo volo da Roma della nostra compagnia di bandiera. Planando verso l’aeroporto Jfk, con il cielo sereno, è sempre uno spettacolo ammirare il profilo dei grattacieli di Manhattan. In orario l’atterraggio, un mare di persone in fila agli sportelli d’immigrazione, un’ora per il disbrigo. Poi è tutto più fluido, quando s’esce dall’aeroporto e l’ordinata attesa si consuma con il costante rosario di taxi che porta ciascuno alla sua destinazione.
Un’ora e sono a casa Fratti. Mario m’accoglie con grande calore. Reco notizie e ricordi della sua e nostra città, L’Aquila, e l’amicizia feconda maturata in due decenni si nutre di sentimenti, condivisioni e stati d’animo che vanno assai oltre le parole. Lo trovo al suo posto di lavoro. E’ insolito vederlo in casa a quest’ora, di pomeriggio, quando d’abitudine sta già a teatro a vedere novità per recensirle puntualmente nella sua rassegna domenicale su America Oggi. Ma questa è giornata speciale. E infatti si festeggia con una buona cena in ristorante, prima ch’egli vada a teatro per le prove di due suoi atti unici, Wives e Academy, entrambi per la regia di Stephan Morrow, che andranno in scena dall’8 al 25 ottobre al Theater of the New City. Approfitto per fare quattro passi a Times Square. Al solito il pienone, tra le luci delle pubblicità e l’inciampo d’un cantiere stradale. Ma nulla ferma la fiumana di persone che la anima, tra spettacoli di strada, giovani che scattano foto, altri che si godono la vista del famoso orologio dalla tribunetta dove si compete per conquistare una seggiola. Il 7 ottobre levata di buonora, a dispetto del jet lag. Alle 5 di mattina sono già connesso a sbrigare i miei lavori e la corrispondenza. In mattinata si prendono gli appuntamenti della settimana. Abbiamo una sorpresa da fare, in serata. La nostra amica Mariza Bafile festeggia il primo anno del magazine ViceVersa. La bella rivista bilingue, inglese e spagnolo, raccoglie le migliori espressioni della cultura ispanica negli Stati Uniti. E’ diventato punto di riferimento per intellettuali, artisti, scrittori e cultori delle radici latino-centroamericane. E’ stato fondato un anno fa e vi collabora stabilmente la figlia Flavia, che a New York ha fatto gli studi universitari.
Mariza Bafile lo dirige con perizia. D’altronde è figlia d’arte. Suo padre Gaetano, nel 1950 fondò a Caracas La Voce d’Italia, settimanale poi diventato quotidiano che è stato punta di diamante nella difesa dei diritti degli emigrati oltre che fonte d’informazione e di promozione della cultura italiana in Venezuela. Del giornale lei è stata vicedirettore fino alla sua elezione nel Parlamento italiano, nel 2006. Alla morte di Gaetano Bafile, nel 2009, la direzione è stata assunta dal figlio Mauro. Alle 7 di sera andiamo alla festa, sulla 67 East Street, presso Henrique Faria Fine Art, lo studio d’un artista che volentieri l’ha messo a disposizione di Mariza. Lei ci accoglie festosamente al nostro ingresso, è quasi una sorpresa per lei, avendoglielo appena accennato qualche giorno fa che forse saremmo andati a trovarla. Ma non potevamo mancare l’appuntamento nei confronti d’una persona amica, che stimiamo e amiamo per il suo talento e la grande umanità, oltre che per le comuni radici aquilane. Con noi è venuto anche Piero, un amico romano che da vent’anni vive a New York. Con Mariza abbiamo alcuni minuti tutti per noi, per raccontarci le nostre cose, giacché siamo arrivati con qualche minuto d’anticipo. Ci presenta sua figlia Flavia, splendida ragazza che ci irradia con il suo sorriso. Nel giro di qualche istante l’ampio studio, dove sono esposte due mostre fotografiche, si riempie di ospiti. C’è il tempo di fare un brindisi augurale e di accomiatarci. Il drammaturgo ha i suoi impegni in teatro per le ultime prove delle sue commedie, prima del debutto, l’indomani sera. E infatti presto s’avvia verso il teatro.
Piero ed io, su incarico di Mario Fratti, abbiamo invece il compito d’accogliere all’arrivo a casa sua un’artista di rango, Ksenja Prohaska, la più grande attrice di teatro della Croazia. Arriverà da Burlington, nel Vermont, per salutare Mario, prima di proseguire per la Florida. E infatti non passa molto che l’ospite s’annuncia alla porta. E’ alta, bionda, bella. Il dialogo è immediato, piacevole, interessante. Ksenja parla bene l’italiano, come diverse altre lingue. Grande cultura e raffinatezza, ci racconta la sua vita sui palcoscenici e nel cinema, a Hollywood, negli anni della giovinezza. Ci parla della famiglia, della sua nipotina appena vista nel Vermont, ce ne mostra la foto. S’informa su di noi. Anch’io le mostro i miei due nipotini, Chiara e Francesco. Piero, che è bravissimo in cucina, sta preparando un buon sugo per la pasta all’amatriciana ed altre leccornie. L’attrice è nata a Spalato, dove vive, tuttavia calcando teatri anche all’estero. Diplomata all’Accademia d’arte drammatica di Zagabria, dal 1980 per sei anni ha lavorato nel Teatro nazionale della capitale, esordendo anche come cantante. Attrice in alcuni lungometraggi di successo. Nel 1987 si trasferisce a Los Angeles. A Hollywood si perfeziona sia in recitazione che in canto, con grandi maestri, continuando a pieno ritmo l’attività di attrice di prosa, in tv e nel cinema, lavorando con registi come Barry Levinson, Warren Beatty, Joe Mantegna e Ben Kingsley.
Nel ‘99 rientra in Croazia, nel Teatro nazionale di Spalato, portando in scena il monodramma musicale Marlene Dietrich, che ancor oggi interpreta nei teatri di molti paesi europei, in Russia, negli Stati Uniti e in Venezuela. Nel 2005 debutta al Parco della Musica di Roma, accompagnata dall’Orchestra Sinfonietta diretta da Francesco Lanzillotta, al pianoforte in alternanza Antonello Di Majo e Ivan Božičević. Ksenja si esibisce nei brani di Fabio Borgazzi Fabor nel dramma musicale Mata Hari, di Maria Letizia Compatangelo. Allestisce anche due recital-concerti: Raccontare Edith Piaf e La Chanson. Con il Teatro nazionale di Spalato interpreta personaggi in opere di grandi autori, quali Tennessee Williams (La rosa tatuata), Miroslav Krleža (I Glembay), William Shakespeare (La Tempesta, Amleto), Edward Albee (Chi ha paura di Virginia Woolf), Molière (Le donne saccenti); e ancora Billie Holiday, scritta a quattro mani con il cineasta Arsen Ostojic. Per il teatro nazionale di Fiume veste i panni di Filumena Marturano; per quello di Sarajevo, in coproduzione con Banja Luka e Mostar – regista la serbo-berlinese Mira Herceg Haveman – è Madre Coraggio di Bertolt Brecht, in occasione del cinquantenario della scomparsa del grande drammaturgo tedesco. Nel 2013 torna a Los Angeles con Marlene Dietrich, recitato in lingua spagnola. Già vincitrice del Premio internazionale “Adelaide Ristori” ed altri riconoscimenti, lo scorso anno il Ministero della Cultura della Croazia le ha conferito il titolo di “Artista nazionale”, il maggior riconoscimento del paese.
Intanto Mario Fratti fa rientro a casa. Sono quasi le 10 di sera. Un ampio abbraccio lo attende, Ksenja ha grande confidenza ed amicizia con il drammaturgo. Si continua a parlare di musica e teatro, con sconfinamenti sulla vita, sugli affetti, sul futuro. Ksenja Prohaska vorrebbe dedicare il suo futuro professionale al cinema e alla televisione, dividendosi tra Stati Uniti e Croazia. Ci riserva una brillante performance di canto, interpretando per noi La vie en rose e Lili Marlene. La conversazione procede fin dopo la mezzanotte. Facciamo qualche foto ricordo e un ultimo brindisi, poi Ksenja si ritira, salutandoci, nella stanza dell’attico che Mario le ha riservato. Rimarrà fino al pomeriggio di domani, quando volerà verso Miami. Andrà a trovare una cugina, che non vede da moltissimi anni, facendo con lei una crociera nei Caraibi. E’ stata una bella serata, in compagnia d’una persona amabile, un’artista eclettica. In casa Fratti si fanno sempre incontri interessanti, talvolta straordinari. Con Ksenja volentieri resteremo in contatto. La vedo per qualche ora, nella mattinata di giovedì, a causa dei miei impegni già programmati.
All’una del pomeriggio, infatti, sono già al Calandra Italian American Institute del Queens College, sulla 43rd Street, per incontrare il preside (dean), prof. Anthony Julian Tamburri. L’Istituto, fondato nel 1979, è nato per preservare la cultura e documentare la presenza degli italiani in America. E’ il primo e più grande centro universitario di studi e ricerche sull’esperienza italiana negli Stati Uniti, affiliato alla City University of New York (CUNY). Intitolato alla memoria di John D. Calandra, senatore dello stato di New York e infaticabile promotore di giustizia sociale, l’istituto promuove l’alta formazione e conduce ricerche per approfondire la conoscenza del grande patrimonio costituito dalla cultura italoamericana tramite conferenze, seminari, mostre e convegni, grazie alla fornitissima biblioteca e agli archivi. E infatti di questo parliamo con il prof. Tamburri, in specie pensando al varo della prima opera dell’Oral Hystory Archive “Maria Federici”, un progetto sviluppato in partnership tra Calandra Institute e ANFE, con il sostegno della Direzione generale per gli Italiani all’estero e Politiche migratorie del Ministero degli Affari Esteri. L’archivio sarà un importante presidio della memoria della nostra emigrazione negli States. Il primo volume “Italians in Politics in America”, di Ottorino Cappelli, riporta 25 interviste con altrettanti legislatori italoamericani dello stato di New York. Fulcro del partenariato internazionale per questo ambizioso programma è la collaborazione tra il Calandra Institute e l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE), com’è evidente dalla decisione d’intitolare l’OHA all’on. Maria Federici, una grande donna politica italiana (L’Aquila, 19 settembre 1899 – L’Aquila, 28 luglio 1984) membro dell’Assemblea Costituente e fondatrice nel 1947 dell’ANFE, di cui fu presidente per oltre 30 anni. Con Anthony Tamburri – origini pugliesi, di Faeto (Foggia), piccolo paese riconosciuto come un’isola culturale francoprovenzale – molto parliamo della straordinaria figura di Maria Federici, della sua opera in politica come donna della Costituente, come legislatrice illuminata, come personalità di forte caratura, impegnata nel mondo dell’emigrazione italiana che in lei, e nell’ANFE, trovò un punto di riferimento imprescindibile per la costituzione dei diritti degli emigrati e della difesa delle loro famiglie.
Mentre completiamo le riflessioni sul rilevante progetto dell’Archivio per la storia della nostra emigrazione, è già pronto un altro step con Maria Basanese Tamburri. Con la signora Tamburri parliamo della National Organisation of Italian American Women (NOIAW), organizzazione di cui lei è presidente. La NOIAW è la prima organizzazione di donne negli States impegnata a salvaguardare il patrimonio linguistico e culturale italiano, promuovendo e sostenendo l’eccellenza femminile di origine italiana. Al servizio dei suoi associati attraverso programmi culturali ed opportunità di networking, sostiene le giovani donne attraverso borse di studio nazionali, tutor e programmi di scambio culturale. L’organizzazione può contare sull’impegno di molte donne provenienti da diverse esperienze professionali (avvocate, medici, artiste, scienziate, donne d’affari, educatrici, scrittrici, giudici, infermiere e casalinghe). E’ l’unica organizzazione femminile negli Stati Uniti nata da e per le donne di origine italiana, promuove attività e sostiene eventi educativi, culturali e sociali che riguardano temi dell’universo femminile. Scopo sociale è quello di riconoscere i successi delle donne d’origine italiana, così come la valorizzazione dell’impegno femminile italiano in Usa per custodire e promuovere la nostra cultura. La NOIAW è stata fondata nel 1980 per iniziativa di Aileen Riotto Sirey e d’un gruppo di donne italo-americane – tra le quali Geraldine Ferraro, Matilda Raffa Cuomo, Donna DeMatteo, Constance Mandina e Roseanne Coletti – che hanno cercato di creare una rete nazionale per combattere stereotipi e pregiudizi etnici, promuovendo modelli positivi. L’organizzazione, in Usa, ha giurisdizione federale, ma conta Sezioni in numerosi Stati americani, alla cui guida stanno tre donne “sagge”. Attualmente si è trasformata in un’organizzazione internazionale che tiene collegamenti attraverso eventi e conferenze tra donne d’origine italiana in America, Argentina, Australia e ovviamente in Italia.
Dal 2014 Maria Tamburri è presidente federale della NOIAW, di cui è stata direttore esecutivo dal 2008 al 2011. La presidente Tamburri, a mia domanda, mi parla dell’importante contributo reso dalle donne d’origine italiana alla crescita degli Stati Uniti e del ruolo sempre più rilevante conquistato nella società, dalla politica alle professioni e nei diversi campi d’impegno. Mi tratteggia, con dovizia d’informazioni, l’attenzione che la NOIAW riserva ai giovani, al mentoring, al sostegno delle giovani meritevoli. Dal 2007 vengono destinate cinque borse di studio per altrettante ragazze per sostenere i loro studi nelle università, non solo negli Usa. Importanti e numerosi gli scambi culturali a favore dei giovani. L’organizzazione promuove il foundraising in diversi stati americani per finanziare le proprie attività. Tra le iniziative di rilievo un viaggio ogni due anni in una regione d’Italia, alla scoperta della ricchezza della cultura regionale, che riserva sempre straordinarie meraviglie d’arte, paesaggi e tradizioni. Mi permetto di proporre alla presidente Maria Tamburri una visita in Abruzzo, nel prossimo futuro, anche per conoscere de visu lo stato della ricostruzione dell’Aquila, dopo il terremoto del 2009. Ella infine mi riferisce sull’iniziativa del Gala NOIAW, ogni due anni, nel quale convengono importanti donne italiane degli States. In quell’evento vengono tributati riconoscimenti a chi si è particolarmente distinta, come di recente Alesyn Camerota, famosa giornalista televisiva della CNN. Mi congedo dopo un’ora di piacevole colloquio che dà uno spaccato puntuale dell’impegno femminile italiano nella società americana.
L’ora mi consente una buona passeggiata lungo la Quinta Avenue. Poi devo raggiungere il Westchester Italian Cultural Center di New York (WICCNY), a Tuckahoe, per l’inaugurazione della mostra “Abruzzo&Molise, Yesterday and Today”, prevista per le ore 18. E’ un evento organizzato con cura dalla direttrice dei programmi del WICCNY, Patrizia Calce, con un certosino lavoro di mesi. L’evento si tiene nella bella palazzina sede della Fondazione Generoso Pope, intitolata al grande magnate e filantropo italoamericano cui si deve la nascita del Columbus day a New York, nel 1929, e numerose altre iniziative di mecenatismo culturale. Sono alla Grand Central Station, un meraviglia architettonica che non finisce di stupirmi per la sua bellezza e razionalità. Tuckahoe è una ridente cittadina residenziale immersa nel verde, appena fuori da New York, nel Westchester. Mezz’ora di Metro North e ci arrivo. Il WICCNY è proprio vicino alla stazione. Il Centro culturale promuove il ricco patrimonio della cultura classica e contemporanea italiana, favorendo lo studio della lingua italiana e l’apprezzamento della cultura italiana attraverso le arti e la letteratura, la storia, lo stile, il gusto e l’enogastronomia, con programmi educativi, mostre ed eventi. Mi accoglie Veronica, una collaboratrice del Centro culturale. Sono in anticipo sull’orario d’inizio, ho desiderio di conoscere la bella struttura e sopra tutto l’allestimento delle due sale, dedicate una all’Abruzzo l’altra al Molise. C’è fervore anche in cucina, dove trovo Patrizia Calce con Rosanna Di Michele, eccellente promoter della gastronomia abruzzese ed ottima chef, intenta a preparare ogni dettaglio per la cena dell’indomani. Le due sale sono ben allestite e riescono a dare un volto intrigante delle bellezze, delle singolarità e delle eccellenze delle due regioni. Encomiabile il contributo reso da associazioni, appassionati e produttori per dotare la mostra di immagini, pannelli fotografici, costumi tradizionali, oggetti tipici e specialità gastronomiche. Meno attento, per usare un eufemismo, l’impegno delle istituzioni. E pensare che organizzazione e spazi della mostra sono stati offerti senza alcun compenso. E tuttavia quel che le istituzioni non fanno lo risolve a meraviglia il privato. E così la mostra è ben pronta per i visitatori, fino al 20 novembre, con numerosi appuntamenti culturali.
E’ l’ora d’inaugurare la mostra. Il saluto d’apertura lo porge il presidente del WICCNY, Francis A. Nicolai, già giudice amministrativo dello Stato di New York. Gli interventi di presentazione del Molise sono svolti da Alfredo Brunetti, presidente dell’Associazione culturale Molisani in Usa, dallo scrittore Francesco Paolo Tanzj, dal Consigliere regionale del Molise Domenico Di Nunzio. Puntuali le annotazioni che illustrano una regione piccola, eppure ricca di storia e di bellezze. A chi scrive il compito di presentare l’Abruzzo. Un grande privilegio poter parlare al pubblico che gremisce la sala conferenze delle eccellenze dell’arte, città e borghi, cultura, gastronomia, valenze naturalistiche ed ambientali della mia regione. Un onore per me rendere un servizio all’Abruzzo – scrigno di bellezze artistiche, architettoniche ed ambientali -, regione che per gli americani è in gran parte sconosciuta. Ho cercato di incuriosirli con le nostre singolarità, intrigando il loro desiderio di conoscenza, sulla scia dei racconti dei grandi viaggiatori e scrittori che ne hanno esaltato la selvaggia bellezza e le ataviche tradizioni. Una descrizione che meglio sarà sviluppata nella serata speciale con Mario Fratti, nel corso della quale sarà proiettato il film “Nolite timere” di Giuseppe Tandoi, sulla vita del monaco Pietro del Morrone poi diventato papa Celestino V, che nel 1294 donò al mondo la Perdonanza, il primo giubileo della cristianità. Patrizia Calce mi ringrazia per l’opera di promozione dell’evento con dettagliati articoli sulla stampa, in Italia e all’estero. L’indomani venerdì 9 ottobre, con Mario Fratti facciamo ritorno al WICCNY per la cena di gala, dove vengono servite le prelibatezze di Rosanna Cooking e gli ottimi vini abruzzesi. Un prolungato applauso saluta la performance della bravissima chef di Vasto, ormai conosciuta ed apprezzata a New York, dove compie tre o quattro missioni l’anno. Rientriamo sul tardi a casa, già con il pensiero di vivere le due giornate di Boston, già raccontate in specifico reportage.
E’ lunedì 12 ottobre. Il Columbus day di New York, quest’anno il 71° e nel giorno stesso della scoperta dell’America, si apre con la celebrazione della Messa alla cattedrale di St. Patrick. Il tempio appare in tutto il suo splendore, ritrovato dopo un accuratissimo restauro, e le svettanti forme gotiche della facciata sono una meraviglia di luminosità. Mancando il card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, impegnato a Roma per il Sinodo, è il vescovo di Rockville Centre, William Murphy, a presiedere la celebrazione eucaristica. Sempre commovente l’esecuzione cantata per coro e organo dei due inni, italiano ed americano, che conclude la celebrazione. Dopo la Messa, sulla Quinta Avenue è già tutto un fervore di preparazione alla Parata, la più suggestiva e famosa nel mondo, seguita da oltre un milione di spettatori lungo il percorso e in tv. E’ davvero un’emozione viverla dal di dentro, percepire quel senso diffuso di orgoglio per l’identità italiana e di testimonianza sul contributo reso dagli emigrati italiani allo sviluppo degli Stati Uniti d’America. Un contributo apprezzato e riconosciuto, come il Presidente degli Stati Uniti scrive nella Proclamation del Columbus day. Anche quest’anno sono in rappresentanza ufficiale dell’ANFE, in quanto Gaetano Calà, direttore generale della prestigiosa associazione è stato trattenuto da pressanti impegni in Italia. Scelgo di sfilare con la splendida équipe di i-Italy, il network giornalistico diretto da Letizia Airos con il quale da anni collaboro. Letizia, presente con alcuni operatori tv e fotoreporter di redazione, mi integra volentieri nel gruppo scortato dalla 500 tricolore disegnata da Massimo Vignelli, driver Rosanna Di Michele. Il gruppo accompagna la delegazione di dirigenti e funzionari del Consolato di New York, con in testa il Console Generale dr. Natalia Quintavalle.
Tra la rappresentanza consolare sfila anche l’on. Francesca La Marca, italocanadese di Toronto, eletta alla Camera dei Deputati nella Circoscrizione estera di centro-nord America. Con lei, durante la sfilata, ho un’interessante conversazione su temi d’emigrazione e sulla situazione della ricostruzione all’Aquila cui è molto interessata. Restiamo d’intesa che andrò a trovarla a Roma, in Parlamento. Lungo il percorso la parata si snoda con il suo tripudio di colori e di suoni. Il pubblico, che di buonora ha preso postazione lungo i due lati della Fifth Avenue, agita tricolori e saluta. Ogni tanto il Console ci chiama a raduno per un corale “viva l’Italia!”. Persino “gioca” con i tre Harlem Globetrotters che precedono il gruppo, dopo il carro della Fondazione Generoso Pope. Con la palla fanno virtuosismi incredibili. Natalia Quintavalle simpaticamente compete con loro, tentando gli stessi miracoli e dispensando sorrisi. Giungiamo sul red carpet, dove la parata man mano si scioglie, all’una e mezza, dopo oltre due ore dalla partenza. Il Grand Marshall, il supermanager Alberto Cribiore da 40 anni negli States e vicepresidente della banca d’affari Citigroup, saluta ed accoglie all’arrivo le rappresentanze. Saprò più tardi che il lungo serpentone della parata andrà avanti fin quasi alle quattro. Oltre 100 i gruppi e i carri della parata 2015. In serata il consueto ricevimento in Consolato.
Martedì 13 perdo ogni speranza di ritrovare il mio cellulare, smarrito domenica sull’autobus da Boston per New York. Il problema è la perdita della rubrica con i numeri dei miei contatti, anche all’estero. Me ne devo fare una ragione. Approfitto per scrivere il mio reportage da Boston, che invio alla stampa nel primo pomeriggio. Chiama Patrizia Calce, consiglia di rinviare l’evento sull’Abruzzo, che Mario Fratti ed io avremmo curato al WICCNY, cui sarebbe seguita la proiezione del film di Giuseppe Tandoi. E’ preoccupata per la contemporanea trasmissione in diretta tv da Las Vegas del dibattito tra candidati democratici alle primarie per le presidenziali 2016. Propone il rinvio al 16, venerdì. Concordiamo. In effetti quella sera gli americani saranno in gran parte incollati ai teleschermi. Non potrò esserci venerdì, perché in partenza per l’Italia. Ma l’Abruzzo avrà un testimonial prestigioso in Mario Fratti. Il drammaturgo aquilano è una celebrità, figura di spicco della cultura italiana negli States. Saprò da lui stesso, al mio rientro all’Aquila, del successo della serata e del forte gradimento del film “Nolite timere” di Giuseppe Tandoi. Commozione e un prolungato applauso hanno salutato l’opera del giovane regista pugliese, trapiantato nella città capoluogo d’Abruzzo. Nel pomeriggio si va all’Istituto italiano di Cultura, in Park Avenue, a visitare la mostra “The Light of Southern Italy”. 34 le opere in mostra provenienti da collezioni private. Curatore è Marco Bertoli, che già aveva organizzato l’anno scorso la splendida esposizione sui pittori Macchiaioli, sempre qui all’Istituto di Cultura. La mostra si propone di rivalutare lo straordinario patrimonio pittorico italiano dell’Ottocento, in special modo dell’Italia meridionale, ancora poco conosciuta negli Stati Uniti. Una pittura di forte policromia e sopra tutto di sperimentazione della luce, che costituisce il fattore dominante del linguaggio pittorico dei maggiori interpreti, da Consalvo Carelli ad Antonio Mancini, da Francesco Lojacono a Giuseppe de Nittis, fino agli artisti abruzzesi Filippo Palizzi, Francesco Paolo Michetti e Pasquale Celommi.
Il 14 è una magnifica giornata. Con Mario andiamo alla Scuola d’Italia “Guglielmo Marconi” per incontrare il Rettore prof. Maria Palandra. Scriverò uno speciale su questa scuola prestigiosa. A sera accolgo un invito a cena da Carmine e Luchy Nardis, a Tuckahoe. Lui aquilano di Villa Sant’Angelo, lei colombiana. Carmine Nardis, figlio di emigrati, ancora studente tornò dall’Aquila a New York. Studio e lavoro per completare l’high school. Poi gli studi universitari alla Columbia University, la laurea in ingegneria informatica e un master. Quindi un buon lavoro nel settore della progettazione informatica, che lo portava spesso in giro per il mondo. Poi la scelta di mettersi in proprio. Buoni traguardi, i suoi, e quelli dei due figli, laureati in scienze economiche e impegnati in occupazioni di responsabilità nel settore degli investimenti finanziari. Una bella storia d’emigrazione, quella di Carmine, un abruzzese volitivo e tenace. Un’ottima cena prepara Luchy, piacevole la conversazione. Lascio la bella casa in tarda serata, Carmine e Luchy mi accompagnano velocemente sotto casa Fratti, in Maserati.
Il 15 ottobe è vigilia della partenza, da dedicare allo shopping. Ma a sera m’attendono gli abruzzesi dell’Orsogna Mutual Aid Club di Astoria. Sante Auriti mi viene a prendere alla fermata Metro di Astoria. Nella grande sede di proprietà del Club, nato nel 1939, una sessantina di persone aspettano il mio arrivo. Il presidente Tony Ferrari, insieme a Maria Fosco, fanno gli onori di casa. Dopo il loro saluto mi chiamano a parlare. Nel mio intervento ringrazio l’intera comunità degli Orsognesi di Astoria per l’onore che hanno saputo rendere alla terra d’origine. Hanno mostrato di quale pasta sono fatti gli abruzzesi, guadagnandosi la stima dell’America. Sul loro esempio di vita tanti pregiudizi sull’Italia sono caduti. Questo è uno dei più significativi meriti dei nostril emigrati. Saremo loro sempre grati. Espongo poi il soddisfacente procedere della ricostruzione aquilana, per la quale hanno sempre un pensiero di vicinanza e di solidarietà da quel terribile terremoto del 2009. Li ringrazio ancora, I loro volti schietti mi danno commozione. Sono una grande comunità qui in Astoria, nel Queens. Con i discendenti sono all’incirca diecimila, giunti a New York da Orsogna sopra tutto nel secondo dopoguerra, complice anche la distruzione del loro paese posto sulla linea Gustav, quando nel 1944 gli alleati ruppero quel fronte dopo cruenti combattimenti. Sono molto contento di questo incontro, così denso di emozioni. Saluto uno ad uno i sessanta convitati, con una calorosa stretta di mano. La commozione ancora domina mentre l’amico Sante mi riporta a Manhattan. E’ venerdì, ultimo giorno, preparo i bagagli. Pranziamo in casa con Mario e la nuova ospite, Margherita Peluso, una giovane attrice venuta per partecipare al New York Film Festival, dove concorre un cortometraggio girato in Australia in cui lei è attrice protagonista. Ha talento, forse le arriderà una buona fortuna. Abbraccio Mario Fratti, mentre prendo il mezzo per l’aeroporto. Mi chiede di tornare presto, magari a presentare il mio prossimo libro “Le radici e le ali” che recherà la sua prefazione. Arrivederci New York!
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