La Luna silenziosa sulla città che non c’è
L’Aquila – (G.C.) – E’ utile, riteniamo, dare un contributo di idee e sensazioni all’intelligente dibattito avviato (speriamo) da Gianfranco Giustizieri e dal direttore de Il Centro sugli aquilani “cittadini senza città” ormai dal 2009, cioè dall’anno che fa da discrimine tra l’altra vita e quella attuale. Perché, a parte le illusioni, è proprio così. Gli aquilani e tutti coloro che vivevano nella città attorno ai Quattro Cantoni , la loro cittò l’hanno perduta. E molti non la rivedranno, o la rivedranno differente. C’è chi spera più bella, ma c’è anche chi non ha tempo o possibilità di aspettare ancora molti anni.
La nuova bellezza potrebbe essere, per esempio, qualche recupero, come nel caso di Porta Barete, ma in tanti sono sfiduciati. Sanno che insieme con la città, non sono morti i suoi difetti: l’inerzia psicologica, ad esempio. L’incapacità di colpi d’ala. Una vera tensione culturale proiettata nel domani, che pochi riescono immaginare o semplicemente ad aspettarsi.
L’attualità è amara. L’Aquila è una non città perché non ha centro storico. E’ come alcune città americane, tipo Providence nel Tohde Island: un’estensione di agglomerati-dormitori, luoghi in cui si esiste, non si vive. Che senso ha salire in auto e andare? Dove? In centro a fare due passi, incontrare qualcuno, assaporare i lati umani della provincia, criticare le sue ristrettezze ma viverle, guardare negozi, sbirciare una ragazza diventata donna, strusciare sotto i portici su e giù fino ad ora di cena o di cinema. E già, i portici… un centro aquilano senza portici è come Napoli senza il Vesuvio. Manca il tuo bar, manca Tizio che chiacchierava troppo, manca Caio che sapeva tutto di tutti, manca Sempronio l’intellettuale. Manca la città delle persone, non c’è aggregazione possibile, ai giovani non ha saputo pensare nessuno: solo chiacchiere saccenti e fumose, evaporate nel nulla. Mancano i vicoli, i cortili, gli angoli con il geranio e il gatto. Manca quella folla brulicante di teste che si scorgeva sul corso entrando in centro dalla Fontana Luminosa.
Ricostruire palazzi e chiese (che mare di soldi e anche i beceri imbrogli e ruberie invereconde) molti dei quali resteranno vuoti è rimettere pietra su pietra, non persone accanto a persone. Umanità semplice e consueta, collettività, socialità, ordinaria presenza.
Las città, insomma, con limiti, difetti ma un’identità tragicamente smarrita. La melanconia morde quando sulla città che non c’è compare la Luna piena, il cui silenzio è quello dell’Universo, che semplicemente osserva e tace. Distante e indecifrabile come le cose che avvengono e non sai perché. Nel nord Europa lo chiamano silenzio di Dio, incubo raggelante di Ingmar Bergman. Ora si estende gelido anche su di noi? Ci sforzeremo di respingerlo. Chi ha idee, le esprima: sarà un flebile palpito di vita, una pulsazione patiniana.
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