Migranti in Abruzzo, fenomeno da conoscere meglio
spesso senza presentarci come giornalisti. Esiste infatti una comprensibile reticenza persino nel fornire il nome e il paese di origine. Molto sono in attesa di documenti dalle questure e sostengono di voler andare via, in altre città italiane o in altri paesi europei. L’impressione è che non si rendano conto del fatto che raggiungere altri paesi sarà, per loro, molto difficile.
Colloquiare richiede una minima conoscenza dell’inglese. Solo qualcuno parla italiano, o lo sta studiando. Le associazioni onlus che gestiscono l’accoglienza si servono spesso di africani in grado di parlare le lingue. I pasti vengono serviti in alcune strutture mediante catering. I migranti africani chiedono molto latte. Talvolta ottengono anche cibi dei loro paesi, come un giovane asiatico che voleva offrircene quando gli abbiamo regalato degli accendini. Di solito gli ospiti stranieri sono educati, parlano poco anche tra loro (spesso non conoscono la lingua dei loro compagni), trascorrono le giortnate senza far nulla. Qualcuno aiuta i gestori dei centri. Molti hanno trovato delle bici, pochissimi se ne vanno in spiaggia. Sono restii a parlare di se stessi e dei loro viaggi dolorosi. In particolare i maschi sono magrissimi, indossano abiti di tessuti plastici, colorati e lavati spesso da loro stesi. Per gentilezza definiscono “nice” i posti in cui vivono, ma nessuno dice di volerci restare. La loro meta, almeno qui in Abruzzo, sembra spesso Roma. Sanno che qui non c’è lavoro né alcuna speranza di un futuro. Una sola è la loro certezza condivisa da qualsiasi luogo arrivino: non tornarci. Cosa accadrà domani di queste persone non lo sa nessuno.
Perché qualche comune non pensa a farli lavorare ub cambio dell’ospitalità che, di solito, costa almeno 35 euro al giorno a persona? L’ipotesi che le cose stiano bene come stanno per molti di coloro che si muovono nelle varie organizzazioni andrebbe approfondita. Ed è la politica che deve chiederlo. Nessuno nutre dei dubbi o ha delle curiosità? Eppure il fenomeno, e soprattutto i costi, sono consistenti.
Qualche dato: in una struttura ricettiva gestita dalle organizzazioni, i proprietari ricevono un fitto. C’è chi fa dei conti per verificare se qualcuno trae dei profitti legittimi? Chi si occupa di verificare la qualità del trattamento? Sono cose che i cittadini, magari quelli che non riescono a farcela a vivere, si pongono.
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