Aristofane per aquilani
L’Aquila – Al Teatro Argentina a Roma, dal 19 al 23 prossimi, va in scena “Le Nuvole” di Aristofane, per la regia di Antonio Natella, con Marco Cacciola, Annibale Pavone, Maurizio Rippa, Massimiliano Speziali e traduzione originale di Letizia Russo; spettacolo dai contenuti universali, ma particolarmente adatto a noi aquilani, pieni di paure ed incertezze dopo un sisma che ancora non “trova collocazione”, non solo urbanistica, civile e sociale, ma nelle coscienze di ciascuno. Eternando il perenne conflitto delle generazioni e il problema di una società che ha smarrito il senso del giusto, “Le Nuvole” è un grande ammonimento, sia per chi si lascia abbindolare, che per coloro che non riesco più a credere a nulla e confidare in una possibilità di futuro. Nello spettacolo di Latella, prodotto da Teatri Umbria e presentato a Luglio al Festival di Spoleto, Socrate, protagonista della vicenda, spregiudicato e burlone, trascina il pubblico con sé in un lungo volo onirico, che lo liberi dal luogo in cui vive prigioniero delle sue paure: una sorta di baraccopoli popolata di assurdi personaggi che giocano con altrettanti assurdi pensieri. E, ancora, si rivela in grado, con le parole e coi canti, chiamando a sé le Nuvole, di portare l’uomo prima nel vortice della tempesta, poi in una sorta di progressiva ricerca di consapevolezza, che la tempesta placa, senza spegnere lo spirito di rinnovamento. Due atti di suggestioni, tutte evocate semplicemente attraverso i corpi e le voci degli attori e grazie alle musiche originali di Giovanni Bartoli per soli fiati e coro, rispettando così il luogo in cui si svolge la vicenda, ossia l’aria, elemento che incornicia la vicenda e la rende impalpabile, imprevedibile, sorprende e varia. Esempio eccelso di commedia antica, la commedia è l’espressione dell’immaginario collettivo di una civiltà e del suo sistema di cultura ancestrale, che pur rimanendo legata a questo versante arcaico e rurale, vuole (e deve) proiettarsi sullo scenario attuale di una polis necessitante di rinnovamento e sviluppo. Come quasi sempre in Aristofane, la commedia risponde a uno schema fondamentale: il protagonista si ribella allo stato di degradazione in cui versa la vita cittadina ed escogita un’idea paradossale per rinnovare la polis, oppure per evaderne alla ricerca di un luogo migliore. A questo punto si verifica il passaggio dal grigiore della realtà quotidiana all’utopia del mondo surreale in cui i personaggi s’immergono, riuscendo a concretizzare in realtà ciò che dapprima sembra solo un sogno. Insomma il testo consente, a noi aquilani, di penetrare dall’altra parte dello specchio, accedendo in un mondo diverso, precluso all’esperienza quotidiana, ma non per questo non realizzabile. Per trasformare l’utopia in realtà occorre debellare la paura, la rassegnazione e la supina accettazione; in apparenza demoni terribili, nella sostanza solo grotteschi spauracchi che possono essere vinti con la forza del sogno e della volontà. Dal punto di vista storico, l’opera di Aristofane è documento del profondo disaccordo che divideva allora gli animi degli ateniesi e spiega in qualche modo le oscillazioni della loro condotta. A noi sembra di vedere in essa la metafora sublimata delle nostre divisioni, che ingigantiscono rabbia e paura, che fanno allargale atteggiamenti di servile accettazione sussidiaria degli aiuti statali, senza propulsione di idee o proposta di novità. Sicchè, in questa fase, la commedia di Aristofane ci serve (o dovrebbe farlo), come “ragion critica”, come l’espressione di una società (la nostra di ora) in sé angusta (nel pensiero) anche se impegnata in azioni storiche di primo piano (immaginare una ricostruzione, senza pretendere che essa ci sia imposta da altri). L’opera, quindi, ci appare quanto mai viva e affascinante per la genialità della fantasia per le battute incalzanti ed inaspettate, per la raffigurazione concreta di situazioni e concetti.
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